VIAGGIO NELLA QUALITA’ DEL NON FARMACOLOGICO APPLICATO ALLE DEMENZE – del dott. Filippo Bergamo, IPAV Venezia

Sul tema delle persone che vivono con demenza ed in particolare delle persone anziane che vivono con demenza si è scritto, si scrive e si scriverà ancora molto. I motivi di questo scrivere sul tema sono dati dal fatto che non abbiamo ancora cure significative, che la tendenza generale della popolazione mondiale ed in particolare quella italiana volge ad un progressivo invecchiamento, e perché in questo grande mondo attualmente c’è spazio per tutte le professionalità pertanto si è ancora nella condizione di poter sperimentare, dire o proporre di tutto. La comunità scientifica parla di fenomeni come l’ageismo, di condizioni di solitudine e se questi sono i temi forti con i quali oggi si sta facendo i conti, allora una riflessione la si deve pur fare. In un mondo dove viene richiesta una certa performace generale, non c’è niente di peggio che avere a che fare con qualcosa di neurodegenerativo, con un andamento eritrogenetico, con un’altissima possibilità al fallimento, con la certezza di un peggioramento e con outcome con scarsa efficacia misurabile in particolar modo sotto l’aspetto qualitativo. Proprio in questo scenario si lavora proponendo i trattamenti non farmacologici o come vengono definiti attualmente gli interventi psicosociali. Per alcuni, una sorta di trattamenti cuscinetto nell’attesa di qualcosa di più significativo relativamente alla cura delle demenze. Per altri, ed in questo gruppo cerco di stare anch’io, un’occasione per migliorare i sistemi di cura, di creare cultura attorno alla persona intesa come individuo meritevole di essere seguito al meglio qualunque sia la sua condizione. Non vuole essere un modo per fare discriminazione generale, ma credo sia necessario chiedersi come mai allora i fenomeni di cui accennato prima, quali ageismo oppure la condizione di sempre più solitudine siano tra gli attuali problemi da fronteggiare oltre che quelli legati alle cause della malattia. Abbiamo delle responsabilità relativamente a questi fenomeni anche come comunità scientifica e di conseguenza si deve provare a risponderne con impegno. Non so se questo lavoro, descritto come un ipotetico viaggio, possa avere qualche particolare ascendente verso qualcuno ma sicuramente può far riflettere su cosa dovrebbe stare dietro a un certo modo di trattare la persona con demenza. Fosse mai che un certo pensiero potesse essere anche condiviso, allora dovrebbe crescere un forte sentimento di responsabilità e di mobilitazione ad un cambiamento o ad un più determinato orientamento.

Parlare in maniera critica di noi per migliorarci nel rapporto con l’altro, trovando operatività costruendo vie per migliorare e non per filosofeggiare. L’auspicio è quello di ritrovarsi in questo ipotetico viaggio, di pensare questo percorso quasi come già battuto mille e mille volte. Ma se così non fosse allora l’altra umile speranza è quella che faccia porre delle domande. La scelta è stata quella di non fare riferimenti a studi o a trials clinici o a rewiews autorevoli, ma quella di parlare di logiche. Le logiche permettono la costruzione di ulteriore pensiero e si auspica anche di azioni. C’è bisogno di una nuova organizzazione dei modelli di care sull’anziano ed in particolare sulla persona che vive con demenza. Una frase che può sembrare retorica, trita e ritrita da bocche di studiosi ben più autorevoli di quella del sottoscritto, ma necessaria. Abbiamo bisogno di creare una cultura del passato rivolta al prossimo e che sappia coinvolgere più generazioni. Questo significa ampliare la comunità, sensibilizzarla arricchirla sia in ordine quantitativo, inteso come più numerosa, ma anche qualitativo offrendo significati, stimoli e modelli con previsione di crescita e miglioramento. Abbiamo il dovere di contribuire a reclutare più equipaggio in questo particolare viaggio, di tutte le età, con più esperienze e formazioni, con capacità a ricoprire più ruoli. Con una forte etica e amore verso l’altro e con la volontà di restare assieme. Abbiamo bisogno di nuovi linguaggi più fruibili, di forme di comunicazione accessibili, di spazi, strutture e infrastrutture a passo con i tempi e con i bisogni. Abbiamo bisogno di persone che si adoperino oggi per creare quella cultura che sarà utile a loro stessi domani quando magari ad aver bisogno saranno proprio loro stessi.

LA QUALITÀ NEGLI INTERVENTI PSICOSOCIALI RIVOLTI ALLE PERSONE CHE VIVONO CON DEMENZA

La qualità nei trattamenti psicosociali rivolti alle persone con demenza è il rapporto tra le persone che operano più l’insieme delle loro conoscenze tecniche e scientifiche, più un determinato tipo di atteggiamento per un certo lasso di tempo nei confronti della o delle persone con demenza con tutte le loro caratteristiche e peculiarità in un determinato stadio della malattia; il tutto all’interno di uno specifico ambiente che ha lo scopo di aumentare l’effetto dell’intervento stesso. Dopo molti discorsi fatti ecco quello che dovrebbe rappresentare il riassunto dei riassunti.

Sia chiaro, tradurre tutto in una formula non è riduttivo, anzi al contrario. Come già esplicitato in precedenza questo modello risulta essere complesso in ogni suo elemento.

Le persone che seguiamo hanno problematiche complesse, che necessitano di interventi non riduttivi ma complessi. A tutti i livelli.

Il grande desiderio è che ci sia un modo di affrontare questa sfida quale la demenza attento, rispettoso e con grande impegno da parte di tutti.

Alcuni degli elementi presenti in questa formula trovano in chi è in prima linea il primo interlocutore, altri elementi invece riguardano anche altri soggetti della piramide decisionale piuttosto che strategica. È difficile pensare che i primi riescano a colmare lacune dei secondi piuttosto che viceversa. Spesso, però, ci si trova a dover far fronte a delle lacune ma a farle passare in silenzio, come la corrente del mare quando è piatto.

Si è consapevoli che la ricaduta del nostro operato è sulle persone che oggi seguiamo e domani magari potrebbe esserlo anche su di noi?

Per molti aspetti questa formula appare estremamente ovvia anche da un punto di vista organizzativo, tuttavia poche organizzazioni implementano o arricchiscono gli elementi di questa.

Insomma di strada ce n’è da fare. Da molti anni si tende a diminuire risorse nonostante ci si accorga di quanto invece siano complesse le problematiche in particolar modo quelle legate alla demenza. Abbiamo fatto passi in avanti rispetto a possibili soluzioni, ma quanto siamo poi in grado di tradurre tutto questo in operatività?

Ci si sforzi quindi ciascuno per la propria competenza di mettersi a confronto con questa equazione arrivando a ragionarla sugli interventi non farmacologici applicati alle demenze, la si sviluppi, la si renda stimolo a cercare e ricercare complessità sviscerando qualsiasi elemento allo scopo di migliorare gli interventi a favore delle persone che seguiamo. Se ne discuta, la si critichi anche per buona o per scarsa bontà della stessa. Ma l’importante è che permetta in maniera decisa di affrontare tutto ciò che serve a qualificare ciò che facciamo e come lo facciamo.

È con questo animo che ho provato a raccontare questa visione del psicosociale rivolto alle persone che vivono con demenza. Fiducia, curiosità, coraggio, voglia di non stare solo, voglia di sporcarmi le mani e di fare fatica, ecco queste sono le prerogative con le quali mi sono approcciato a questo lavoro ed uno straccio con un pezzo di sapone. Quest’ultimi servono a ripulirsi per poi ripartire nuovamente, rifare un altro viaggio ed un altro ancora. Il sapone e lo straccio sono stati il mio primo regalo fatto quando ho iniziato a lavorare con le persone con demenza da parte della mia responsabile di allora invitandomi a non avere paura di sporcarmi le mani in questo mondo che è quello delle demenze. Uno straccio pulito e un pezzo di sapone ora io cerco di regalarlo con questo lavoro sperando possa essere, come è stato per me, di analogo stimolo.

Concludo con alcune delle parole che il prof. Trabucchi ha speso per questo testo nel terzo numero della rivista di Psicogeriatria del 2021: “ … profondo sul piano teorico e concreto e utile su quello pratico. Infatti passa da alcuni concetti di riferimento (la rotta), alle risorse (l’equipaggio), a cosa serve sapere (la mappa del viaggio), al ruolo dell’atteggiamento (l’impegno da mettere in gioco), al tempo delle attività (la durata delle navigazioni), alle persone con demenza e i livelli di gravità (i compagni di viaggio), a dove si svolgono le attività (lo scenario), alla qualità (l’orizzonte, la meta), alla stiva. La metafora della barca e della navigazione esprime l’impegno dell’autore a costruire un percorso che, per quanto complesso e difficile, vede la possibilità di raggiungere il porto d’arrivo, dopo la coabitazione sulla barca (i luoghi di cura) tra cittadini bisognosi di un aiuto qualificato ed operatori preparati e generosi … “

Il libro è di fine 2019 pertanto si trova ancora la dicitura di “interventi non farmacologici” piuttosto che “psicosociali” e quindi necessiterebbe di un upgrade relativamente ad alcune terminologie ad oggi più corrette, ma sono sicuro che possa raggiungere nel suo intento di farsi ben capire.

Il mio personale augurio di buon viaggio e buon lavoro.

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