La cura farmacologica delle alterazioni cognitive e comportamentali – del dott. Ferdinando Schiavo, neurologo dei vecchi

LA GRANDE DELUSIONE
Alcuni consigli da ascoltare, poche regole da rispettare per conoscere i limiti, i paradossi e i compromessi della cura farmacologica dei DCC ( Disturbi Cognitivo Comportamentali ), poiché senza informazione e formazione, è probabile che non si trovino sempre soluzione farmacologiche adeguate e, soprattutto, non si conoscano le strategie non farmacologiche utili, andando incontro a fallimenti e ulteriore stress.
Poche nozioni iniziali contro i luoghi comuni: i problemi cognitivi non sono solo… le carenze di memoria, mentre quelli comportamentali non sempre rispondono agli psicofarmaci, anzi possono peggiorare con il loro uso.

E’ NECESSARIO, per una migliore collaborazione, che alla prima visita ambulatoriale neurologica sia presente il/la caregiver principale (chi segue e conosce meglio, assiste e si occupa costantemente della persona con DCC) e che torni ai successivi controlli; che questa importante figura sia affidabile e collaborante, che desideri essere informata (e che lo sia adeguatamente…), che abbia fiducia e pazienza in quanto non tutte le informazioni su patologie spesso complesse possono essere fornite nel corso della prima visita di circa un’ora, utile a stabilire i passi iniziali, la diagnosi: è spesso indispensabile un incontro ulteriore senza la persona con DCC, per poter raccontare liberamente determinati particolari del quadro comportamentale ed anche della personalità della persona malata.

Il caregiver deve comprendere che si parte dal tentativo di trattare manifestazioni a decorso progressivo e spesso fluttuante (cioè associate a variazioni anche notevoli in meglio o in peggio, da un momento della giornata all’altro, da un giorno all’altro), i cui sintomi possono essere inoltre cangianti, ovvero modificabili in qualsiasi momento a causa di vari eventi: malattie generali varie, disidratazione, febbre, diversi farmaci e in particolare alcuni psicofarmaci, ospedalizzazione, istituzionalizzazione in casa di riposo, “banale” cambio di badante, ed infine comportamenti errati ed errori di comunicazione verbale e non del caregiver.

Inoltre, i farmaci attualmente in uso per ovviare ai deficit cognitivi (memoria e non solo!) agiscono purtroppo non a monte della cascata di eventi patologici che determinano il danno dei neuroni, ma a valle. Ovvero: non sulla causa bensì sui soli sintomi. Da quasi 20 anni si sta provando a alleviare il corso di alcune forme cliniche con alterazioni cognitive (AD, DLB, MP-D, in parte anche forme miste AD e vascolari) attraverso gli Inibitori delle Colinesterasi (I-ChE), farmaci che, in sostanza, incrementano la quantità di un neurotrasmettitore (il “carburante“), l’acetilcolina, essenziale per vari organi e in maniera specifica per i circuiti neuronali della memoria e delle altre funzioni cognitive e di alcuni aspetti comportamentali. I-ChE: sono 3 sostanze con diversi nomi commerciali: Donepezil (Aricept, Lizidra, Memac, ecc.), Rivastigmina (Exelon e Prometax), Galantamina (Reminyl).

Tollerabilità ed efficacia di questi farmaci
1. Non sempre possono essere prescritti: NO in caso di ulcere gastroduodenali, di alcune cardiopatie (infarto acuto, scompenso cardiaco, malattie che provocano un rallentamento del ritmo cardiaco, sincopi in accertamento), di malattie respiratorie, di epilessia.
2. Non sempre vengono tollerati: nausea, vomito, mal di stomaco, diarrea, sincopi (“svenimenti”) per abbassamento della pressione arteriosa e\o della frequenza cardiaca, irritabilità, raramente crisi epilettiche, ecc.
3.Possono generare miglioramenti di qualche aspetto del quadro clinico anche dopo 2 settimane, mantenendolo per mesi o anni: sono i pazienti responder, che potenziano le capacità di partecipazione alle attività dell’ambiente circostante, l’attenzione, la memoria, lo stesso comportamento (ad esempio l’apatia, a volte le allucinazioni), il sonno, ecc. Ma solo in circa 1\3 o 1\4 dei casi!
4. In un altro 1\3 circa dei pazienti i risultati sono nulli: pazienti no-responder.

E in un altro terzo circa il miglioramento appare meno visibile. In questi casi, d’accordo coi familiari, si può tentare di sospenderli. Tuttavia, se alla sospensione (graduale!) si nota un peggioramento, questa prova paradossalmente può farci apprezzare che questa categoria di farmaci “funziona in qualche modo”. La terapia va quindi reintrodotta.
Questi criteri valgono anche per la Memantina (Ebixa, Ezemantis, Memantina Mylan, ecc.), un’altra molecola che agisce sui DCC, ma nella fase più avanzata del quadro clinico di una AD e attraverso sistemi chimici e funzionali diversi dagli I-ChE . Anche in questo caso i risultati sono variabili da individuo a individuo. Possibili eventi avversi: vertigini, sonnolenza, ipertensione arteriosa, crisi epilettiche, allucinazioni.

Resta valido il concetto che il trattamento con I-Che o Memantina va proseguito senza gravare sulle finanze della famiglia della persona con DCC, è il mio parere, solo se i pazienti sono responder. Se non lo sono rappresentano in qualche modo uno spreco di risorse e fonte di eventi avversi. Leggi dopo gli articoli su la Repubblica.

Gli I-Che e la Memantina, “burocraticamente” prescrivibili gratuitamente con Piano Terapeutico (PT) presso le strutture pubbliche (e non da me, neurologo libero professionista) per la sola AD, in realtà danno buoni risultati nella D. a corpi di Lewy e nelle D. nell’ambito della malattia di Parkinson (che hanno una matrice comune) e qualche effetto positivo a volte in quelle legate a danno “misto” degenerativo e vascolare: il concetto di “purezza” di una forma clinica, infatti, oggi appare vacillante in quanto il riscontro di sovrapposizione di alcune patologie è molto frequente.
 E’ opportuno cominciare con le dosi più basse per saggiare la tollerabilità: ad esempio Rivastigmina o Exelon cerotto da 4,6 mg 1 volta ogni 48 ore per 3-5 volte (per prudenza), poi stabilmente uno ogni 24 ore; oppure Donepezil, Aricept o Lizidra o Memac 5 mg 1 compressa a giorni alterni a cena o colazione, poi tutti i giorni. Per la Memantina esiste uno schema posologico ad hoc.
 In conclusione, se un I-ChE o la Memantina sono tollerati e se inducono qualche miglioramento clinico (paziente responder) già nelle prime settimane o mesi, la terapia va proseguita, e, nel caso degli I-ChE, eventualmente incrementata nel dosaggio, procedendo nel contempo alla rivalutazione clinica presso gli Ambulatori per i Disturbi Cognitivi (CDCD) locali (chiedere al proprio medico!). La decisione se accordare il farmaco GRATUITAMENTE con PT, aumentarne la dose o sospenderlo spetta ai responsabili dell’ambulatorio! In qualità di libero-professionista, quindi, lo ripeto, non posso redigere PT.
 SE questi farmaci (I-ChE e Memantina) non sono tollerati e\o magari provocano effetti avversi e nessun beneficio apparente, vanno indubbiamente sospesi, tenendo anche nel debito conto che spesso sono prescritti in pazienti fragili con diverse patologie e già in politerapia farmacologica! Una nota AIFA del febbraio 2022 ribadisce, a tal proposito, che il Donepezil può creare problemi cardiaci attraverso l’allungamento del QT… (
https://www.aifa.gov.it/…/2022.02.07_NII_Donepezil_IT.pdf).
L’argomento DCC è complesso perché:
1. ogni Persona con DCC possiede una sua personalità, esperienza e cultura (e così pure i componenti della sua famiglia!) e il suo tipo di malattia; ha una sua coscienza di malattia (oppure non ne ha assolutamente, con serie ricadute negative già per la diagnosi – “io sto bene!” – , negli accertamenti, nella la terapia e per altri aspetti, sociali ed anche legali!); spesso ha un “contorno” di altre patologie e numerosi farmaci di cui tener conto nel DETTAGLIO.
2. divergenze di vedute (nella diagnosi, nelle strategie con farmaci e non, nell’accudimento) possono essere presenti tra i medici e tra gli stessi familiari e rappresenta un aspetto molto serio!
3. alla prima visita, la valutazione medica accurata richiede circa un’ora, il familiare e il medico spesso non possono comunicare in modo franco e diretto in presenza del\della paziente.

Per questi ed altri motivi consiglio vivamente di eseguire, nei casi complessi, almeno due valutazioni: la prima, clinica, “per far diagnosi”, in presenza della persona con DCC, l’altra in sua assenza affinché il caregiver, familiare o meno, possa esprimersi liberamente e ricevere le corrette informazioni del caso. Per esperienza pluridecennale reputo l’approccio diretto, faccia a faccia, più funzionale rispetto ad una gestione delle manifestazioni comportamentali attraverso consigli telefonici. In sintesi, una visita di un’ora molto spesso può non bastare per analizzare una situazione complessa ed elaborare le essenziali strategie non farmacologiche dei problemi comportamentali, dei risvolti assistenziali, legali, etici e sociali e delle ricadute in termini di stress sui familiari conviventi

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