E’ vero che i ciechi riescono a modo loro a “vedere” il mondo circostante? Risulta che lo facciano potenziando altre zone del cervello che si sviluppano in modo eccezionale: sono l’udito e il tatto, diventati super sensibili, a guidarli nell’oscurità. Negli esperimenti di alcuni ricercatori di Harvard si è scoperto che questa evoluzione può persino avvenire in poco tempo, infatti alcuni soggetti vedenti, tenuti bendati per cinque giorni, alla fine avevano già migliorato le competenze tattili, tanto da cimentarsi col sistema Braille.
Ma non occorre essere ciechi per sfruttare l’incredibile capacità di apprendere del cervello: sono soprattutto gli anziani, esposti a black out di vario tipo, come ictus, Parkinson, demenza senile, che possono superare i loro problemi facendo leva sull’attivazione di nuove aree cerebrali. Ce lo conferma Oliver Sacks, il famoso neurologo autore del libro Risvegli, dove racconta le sue sperimentazioni per la cura dell’encefalite letargica (da cui fu tratto anche il film omonimo con Robin Williams e Robert De Niro), che ha studiato per anni le reazioni dei pazienti di fronte a malattie considerate incurabili.
La neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di creare nuovi percorsi, spiega Sacks, può svolgere un ruolo essenziale nel recupero di coloro che perdono una capacità sensoriale, cognitiva o motoria. “Ogni volta che ci accingiamo a fare qualcosa che già sappiamo, o apprendiamo qualcosa di nuovo, le connessioni neuronali già presenti si potenziano e, col tempo, i neuroni ne creano di nuove. Ho visto centinaia di pazienti con vari deficit imparare a fare le cose in modo nuovo, così da aggirare il loro problema”.
Dunque non è vero che l’età dell’apprendimento si limiti all’infanzia: il neurologo cita ad esempio una signora che non aveva mai suonato uno strumento, che a 55 anni si mette a studiare l’arpa al conservatorio di Baltimora, raggiungendo dei livelli di esecuzione ragguardevoli. Lei stessa descrive la sua trasformazione: “Sentivo che le mie dita e il mio cervello cercavano di collegarsi per dare forma a nuove sinapsi…So che il mio cervello è cambiato in modo straordinario”. Anche se la musica, secondo Sacks, ha una particolare forza plasmante, perchè nel suonarla impegna diverse aree del cervello che devono lavorare assieme, ci sono molti modi per stimolare il funzionamento cerebrale, dall’imparare una nuova lingua, al fare viaggi in posti sconosciuti, al dedicarsi a qualche hobby. A questo proposito viene citato un altro caso particolare: una paziente diventata paralitica, amareggiata di non poter più fare i suoi amati cruciverba, concentrandosi nell’osservazione riuscì a potenziare la sua memoria visiva, fino a ricordare l’intero schema assieme agli indizi correlati e a completarne la soluzione mentalmente.
Ritornando agli anziani, la capacità del cervello di modificarsi e la possibilità di stimolarne lo sviluppo possono essere sfruttate in modo da migliorare i processi mentali. Ascoltiamo dunque l’appello del neurologo: “Proprio come l’attività fisica è essenziale al mantenimento di un corpo sano, così mettere alla prova il proprio cervello, mantenendolo attivo, impegnato, flessibile e vivace, non è soltanto divertente: è essenziale al nostro benessere cognitivo”.