La vecchiaia e l’infanzia, in quanto fasi estreme della vita, sono in qualche modo collegate da un ciclo sferico di sviluppo e di regressione. Questo rapporto diventa ancor più evidente nel caso dei malati di demenza nei quali, in seguito al deterioramento delle funzioni cognitive, si instaurano dei comportamenti decisamente regressivi. Assistiamo così a delle reazioni immediate e impulsive, all’impazienza nel voler soddisfare i propri bisogni, tipica del bambino che pretende tutto e subito, con la conseguente irritazione quando non si ottiene la risposta desiderata.
Quindi gli accessi di aggressività dell’anziano, quando ha delle esigenze che non riesce a spiegare, sono un po’ l’equivalente del pianto infantile, che non sa esprimere a parole la necessità che lo pungola: sarà fame, sete, un bisogno corporale? In entrambi i casi, per risolvere queste richieste inespresse, bisogna tentare di interpretarle con calma. Ma ci sono altri moventi per le reazioni brusche e istintive, che possono sfociare in violenze verbali o fisiche. Di fondo esistono le alterazioni a carico del sistema nervoso, che non sono rimediabili, mentre qualcosa si può fare in merito alle situazioni ambientali sfavorevoli: è bene evitare cambiamenti nello scenario casalingo e nei modi di relazionarsi, ma anche atteggiamenti di costrizione, come voler forzare l’anziano a vestirsi e a lavarsi, o imboccarlo contro voglia. E’ meglio spiegare con parole chiare e semplici ogni azione che si vuole intraprendere, aiutandosi con gesti dolci e affettuosi. E’ questa la chiave principale per entrare in contatto col malato: a poco servono i ragionamenti logici, meno ancora le ingiunzioni o i rimbrotti, perché l’unica funzione che ancora conserva e proprio quella del sentimento e dell’affettività.
Va anche considerato che la persona avverte ancora in sé il senso del proprio valore e il fatto di non riuscire più ad esprimerlo in modo comprensibile provoca una grossa frustrazione, che induce stati di tensione e irritabilità. Gli atteggiamenti ostili possono derivare da un meccanismo di difesa per preservare la propria dignità e autostima, per il mantenimento di un equilibrio ormai precario.
Ci sono ancora gli aspetti più pratici nella gestione di questi anziani. Molti presentano alterazioni nel comportamento alimentare, o non hanno fame o mangiano continuamente, possono anche avere difficoltà nell’assumere il cibo, masticare, deglutire, tenere le posate, o nel vestirsi. Sono problemi dovuti alla memoria procedurale, cioè alla capacità di rappresentare mentalmente le sequenze automatiche di azioni anche molto semplici. Ma finché esiste un barlume di autonomia è meglio non sostituirsi alla persona impedita, per non aumentare il suo senso di inutilità e inadeguatezza. Certo la convivenza con gli anziani mentalmente deteriorati è veramente difficile, complicata e gravosa.
Bisogna confrontarsi con la loro incapacità di svolgere le normali azioni quotidiane, con veri cambiamenti nel comportamento usuale e nella vita di relazione. Per avere un’idea di quanto sconvolgente possa essere l’impatto con questa malattia, si può leggere il libro di Monica Fallador, “La madre di mia suocera”, edizioni Paoline.
In conclusione qual è il consiglio per familiari e care givers? Accettare con naturalezza le difficoltà del malato, accostarsi a lui con un contatto fisico, con gesti di vicinanza che gli trasmettano comprensione e una risposta ai suoi bisogni. E aiutarlo a mantenere la sua dignità, anche se può esprimerla in modo un po’ singolare.