Amicizie d’Annata – di Giorgetta Dorfles

Gli allegri vecchietti che s’incontrano ogni giorno seduti ai tavolini dei bar di via Torino, attorniati da una batteria di calici e di risate, sono veramente pieni di amici? Appena svoltato l’angolo e svaniti i fumi dell’alcol saranno ancora contenti della compagnia e dell’età che li incalza? Il buon umore offerto da cibo e bevande, insieme alle chiacchiere poco impegnative con delle persone simpatiche, ci può illudere di godere di una cerchia di amici, ma si tratta in realtà di puri commensali, con cui si hanno in comune gusti e conoscenze, che vengono spesso inserite in una trama di pettegolezzi.

Non mancano poi invidie e malignità che, passando di bocca in bocca, finiranno per arrivare alle orecchie dell’interessato. Come il vino anche l’amicizia è un dono che va assaporato e non va confuso con le conoscenze occasionali, colleghi, vicini di casa, parenti, con cui si fanno commenti banali sul tempo, sulla situazione politica, sulla propria salute.

Per l’amico ci dev’essere stima e ammirazione, pur nella differenza di carattere e di attitudini, perché è più dotato di noi nella sostanza etica o in altre qualità e quindi può insegnarci qualcosa. Poiché non si tratta di una sudditanza, lo scambio dev’essere reciproco e la superiorità di ognuno nel suo campo non viene mai fatta pesare. Sono i veri amici ad essere pronti a sostenerci nei momenti difficili, a cui si può ricorrere con fiducia per un consiglio e un appoggio nei momenti di crisi familiare o interiore.

Questa possibilità non scompare nell’età anziana: intanto ci sono gli amici di una volta, rapporti che, se durano ancora, decantano il valore della fedeltà. Ma si possono anche riprendere vecchi contatti, a cui raccontare la propria vita senza abbellimenti, in modo più schietto, perché non è più il tempo di pavoneggiarsi, semmai di scambiare i ricordi e di confrontarsi sul modo di affrontare la vecchiaia.

Almeno con gli amici si dovrebbe essere sinceri e non assumere la maschera di efficienza ed energia che si usa mostrare all’esterno, per nascondere le debolezze, il disagio, e il declino che si porta dietro l’avanzare dell’età, dato che il riconoscimento da parte degli altri è importante in tutte le fasi della vita.

Il forzato dinamismo ostentato solo per darsi un tono viene paragonato in modo efficace da Mario Cannata, nel libro “Ho ancora qualcosa da dire”, al frenetico agitarsi di una mosca sotto un bicchiere capovolto per raggiungere una libertà che è ormai perduta. Questo non significa che bisogna adagiarsi in un’indolenza, che sconfina nell’abulia e nel vittimismo: finché si hanno delle possibilità di azione bisogna coltivarle, trovare un equilibrio fra solitudine e apertura verso il mondo, dove si potranno frequentare gruppi con interessi comuni, associazioni culturali o di volontariato.

E perché no, trovare nuovi amici, visto che il parlarsi in tutta sincerità, cercando insieme una risposta agli interrogativi dell’esistenza, non può che instaurare tra le persone anziane sentimenti di comprensione, solidarietà e amore, per vivere con dignità, fiducia e relativa serenità il percorso sul viale del tramonto.

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