ALTRO AMICO – Si parla di te, tra gli amici, che ti fermi a discutere di filosofia con chi capita. Vuoi imitare Socrate su scala ridotta?
FILOSOFO – Me ne guarderei bene, ci vuole altro, la mia sarebbe una scala davvero minuscola. E poi non siamo ad Atene. Semplicemente è successo.
AMICO – Non te ne faccio una colpa . Pensavo solo: non vuoi parlare un po’ anche con me?
FILOSOFO – Sentiamo l’argomento.
AMICO – Cosa mi dici di Dio? Non riguarda solo la religione, ma anche la filosofia, credo.
FILOSOFO – Hai subito colto un primo problema: la sua doppia valenza. La fede, ma non solo, anche la teologia da una parte e tutto il resto dall’altra.
AMICO – Che cosa vuoi dire?
FILOSOFO – Che per i fedeli, di tutte le religioni, non sono necessari ragionamenti e dimostrazioni riguardo l’esistenza del Dio in cui credono o le sue caratteristiche. Tutto ciò risulta documentato e testimoniato nei libri sacri che stanno a fondamento della religione stessa, almeno per quelle cosiddette “del Libro”, cioè ebraismo, cristianesimo, islamismo; oppure si basa su una tradizione accettata e venerata che si rifà ad un mitico fondatore, come per il buddismo. Questo a loro basta: hanno fede, e grazie alla fede la stragrande maggioranza evita di tormentarsi con inquietanti interrogativi. Dal resto lo stesso Lutero, invitato a portare dimostrazioni della sua fede e disperando di poterlo fare, troncò così la discussione: «Credo quia absurdum! [Credo perché è assurdo!]. Ma non penso che di questo aspetto del problema “Dio” vuoi parlare con me, visto che mi attribuisci, non so bene perché, il titolo di filosofo. E forse sei un po’ convinto, erroneamente, che tutti i filosofi, per il fatto stesso che sono filosofi, non credono.
AMICO – In effetti mi interessava sapere come affrontano la questione i non credenti, categoria alla quale io non appartengo, anche se qualche volta ci vado vicino. É vero, ho pensato che tu stessi da quella parte.