La gestione dei pazienti affetti da malattie croniche –per definizione incurabili – come la demenza o le conseguenze legate ad un invecchiamento non di successo (diabete o ipertensione, solo per citarne alcune) rappresenta il maggior capitolo di spesa dei sistemi sanitari nazionali dei Paesi industrializzati. Ciò fa riflettere sulla necessità di un cambio di paradigma, da parte del personale sanitario e amministrativo, nei confronti della presa in carico dei malati affetti da malattia cronica e dei risultati raggiungibili.
L’obiettivo primario di ogni sistema sociosanitario dovrebbe essere quello di massimizzare il benessere del paziente, soprattutto in quelle situazioni in cui la qualità della vita rappresenta un valore primario e, nel contempo, è particolarmente a rischio, come nei pazienti ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA o case di riposo), laddove, fin troppo spesso, dall’Assistenza di qualità con la “A” maiuscola, si scivola nell’assistenzialismo, improntato unicamente al soddisfacimento di due soli bisogni primari (alimentazione e sicurezza) attraverso l’applicazione di ferree regole organizzative imposte dalla struttura stessa e quasi mai comunicate, condivise o, meglio ancora, introiettate dalla persona residente in quella struttura.
Ma che cos’è realmente e come si può misurare il benessere di una persona ospite di una residenza per anziani? Esattamente che cos’è questa benedetta qualità di vita? Il concetto di qualità della vita è difficile ed elusivo, non definibile in termini assoluti o universali ma individuale e personale: ha, cioè, un significato differente a seconda della tipologia di individuo, del particolare momento in cui quell’individuo si trova a vivere e della sua cultura di appartenenza. Esistono molteplici definizioni di qualità della vita.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce come: “la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni. Riguarda quindi un concetto ad ampio spettro, che è modificabile in maniera complessa dalla percezione della propria salute fisica e psicologico-emotiva, dal livello di indipendenza, dalle relazioni sociali e dall’interazione con il proprio specifico contesto ambientale”. Le case di riposo sono per definizione luoghi in cui si concentrano l’elevata prevalenza di deterioramento cognitivo e di grave dipendenza funzionale; la condivisione di spazi comuni e la difficoltà di privacy ambientale; la scarsa interazione o uscita all’esterno; la difficoltà di operare scelte, e di controllo per la propria vita e per le autonomie residue. Queste ultime tre caratteristiche, in particolare, definiscono l’istituzione totale. È proprio in queste istituzioni –nelle quali le persone anziane trascorrono lunghi periodi di tempo, spesso fino al decesso o in condizioni di malattia avanzata, a volte di perdita di individualità, di tempo (passato, presente e futuro) e di significato – che il concetto di qualità della vita e di benessere dovrebbe servire da chiave di lettura per dirigere l’intervento socio-assistenziale.
Il risultato di benessere e di qualità della vita della persona ricoverata in struttura dovrebbe essere l’obiettivo primario del prendersi cura della persona, l’outcome sul quale giudicare l’organizzazione nel suo complesso, dagli aspetti strutturali a quelli di cura e relazionali. Viceversa, oggi la riforma e la riorganizzazione delle case di riposo si muovono secondo il paradigma della qualità della cura, confondendo in tal modo il processo con il risultato. Questo parametro è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire la qualità della vita. Sebbene sia (e sia stato) urgente riformare il processo di cura, tale obiettivo non può esaurire tutte le energie e le spinte al cambiamento.
Secondo una recente ricerca dell’Università di Bologna, la “casa di riposo perfetta” è un luogo a misura di anziano, caratterizzato da un approccio alla cura non solo medico-assistenziale, ma che guardi al benessere globale del residente e non trascuri la qualità delle relazioni umane che si instaurano al suo interno. Il tutto inserito in un contesto pieno di stimoli, con la progettazione attenta degli spazi affinché non siano asettici come le corsie di un ospedale, ma calorosi e accoglienti come una casa. Questi sono alcuni dei criteri su cui dovrebbe essere misurata la qualità delle residenze assistenziali dedicate agli anziani, secondo scale di valutazione costruite per cogliere esattamente le dimensioni del benessere (e non solo del processo di cura) della persona anziana, definendo gli indicatori principali di qualità della cura, per esempio inerenti la gestione degli spazi: importanti la tranquillità del contesto, il silenzio, il rispetto dei momenti di quiete, le stanze, gli ambienti comuni – che devono essere ricchi di stimoli cromatici, musicali, olfattivi – come pure corridoi e sale d'attesa, da dotare di stimoli visivi di cui ogni anziano possa beneficiare in ogni momento (ad esempio quando è in attesa di una visita o del pranzo o della cena).
Altri indicatori riguardano le attività individuali di cura e la relazione: vietata la freddezza; l’operatore dovrebbe sempre rivolgersi al paziente col sorriso, essere aggiornato sul suo stato di salute, parlargli in modo confortevole, e tenendone bene a mente storia di vita, gusti e preferenze.
Mancano, a tutt’oggi, le linee guida, universalmente riconosciute, che permettano di valutare in modo uniforme e orientare in modo preciso le strutture per anziani verso certi standard di qualità ma alcuni passi avanti sono stati fatti e nuovi strumenti sono stati presentati, in maniera da poter dare un indirizzo e iniziare a misurare la qualità della vita intesa come benessere a cui tendere durante il tempo trascorso in struttura.
Questo percorso è certamente molto utile per individuare dei criteri cui tutte le
case di riposo dovrebbero rifarsi nell’intento di migliorare la salute dell'anziano.
Purtroppo oggi non sono molte le strutture che rispondono a questi requisiti,
ma è auspicio che in futuro la"casa di riposo perfetta" sia tale soprattutto per
l'anziano e non solo “perfetta” in relazione ai fondi pubblici o privati che essa
riceve come invece succede spesso oggi.
Dott.ssa Annapaola Prestia, psicologa esperta in psicologia dell’anziano, fondatrice di S.O.F.I.A. – Sostenere Ogni Famiglia In Autonomia, Srl
www.sofiaperlafamiglia.it; mail: info@sofiaperlafamiglia.it
BIBLIOGRAFIA
Armstrong GL, Conn LA, Pinner RW. Trend in infectious disease Mortality in the United States During the 20th Century. JAMA 1999;281(1):616.
Kane RL. Measures Indicators and Improvement of Quality in Nursing Home, 2003. Kane RL, Priester R, Totten AM. Meeting the challenge of Chronic illness.
The Johns Hopkins University press, Baltimore 2005.
Lubkin IM, Larsen PD. Chronic illness impact and intervention. Jones and Bartlett Publishers, 1990.
Degenholtz H. Improving quality of life in Nursing Homes through the use of structured resident interviews. National Stakeholders briefing. August 2010 www.improvingqol.pitt.edu
Luppi E. Prendersi cura della terza età. Valutare e innovare i servizi per anziani fragili e non autosufficienti. Franco Angeli Editore, 2015
Bertolini L, Pagani M. Qualità della Vita o Qualità della Cura? I Luoghi della cura on line, Num, 3, 2011.