La parola “ vacanze “ oggi abitualmente usata per indicare un periodo di stacco assolutamente necessario e indispensabile dallo stress quotidiano, negli anni 50/60 veniva sostituita dalle parole “ ferie “ presso il popolo e dalla “
villeggiatura “ presso il ceto medio/alto. Questo periodo iniziava con l’ultimo giorno lavorativo di luglio e si protraeva in agosto, mese di totale chiusura delle attività lavorative.
Gli italiani da poco motorizzati con le Fiat 500 e 600 oppure con le 1100 TV iniziano a raggiungere le località montane alla ricerca di aria pura e i paesini di montagna si riempiono di alberghi e pensioni dai nomi poco fantasiosi come Bellavista, Belvedere, Miramonti, Edelweiss, Rosalpina.
La perfetta tenuta estiva del villeggiante era composta da calzoni alla zuava, camicia di flanella a quadri, calzettoni di lana, pedule, eskimo. Non poteva mancare il tascapane o lo zaino color verde militare e la fedele borraccia di alluminio. Alcuni cercavano di mimetizzarsi con gli abitanti del posto o meglio con i contadini abbigliati nei giorni di festa, indossando gli uomini i “lederhose”, cioè calzoncini corti di cuoio, e le donne i “dirndl “ a fiori con blusa bianca con maniche a sbuffo.
Quelli che andavano a camminare si armavano di picozze di legno che ornavano con tacche di metallo comprate nei
rifugi raggiunti. In paese alla sera partite di carte, dama, scacchi o invio di cartoline a tutti i parenti e conoscenti. I triestini raggiungevano in auto o in corriera i paesi della Carnia come Paularo, Resia, Prato Carnico ma anche Ravascletto, Camporosso, Sella Nevea e pure Sappada e Auronzo in Cadore.