Marco Porcio Catone, scrittore, politico e generale romano, quello con l’idea fissa delenda Carthago, è noto anche come il Vecchio per aver superato di molto l’età media di vita nella Roma di allora. Quando morì nel 149 a.C. aveva infatti compiuto ottantacinque anni e solo l’anno prima – nel 150 a.C. – Cicerone lo aveva immaginato impegnato in un dialogo sulla vecchiaia con due giovani a cui spiegava le ragioni della sua serenità.
Seguendo Catone, nell’opera ciceroniana di cui è protagonista, scopriamo che lamentarsi è da stolti perché la vecchiaia è una fase della vita e l’uomo non può repugnare la natura. E leggiamo che le accuse rivolte a questo periodo dell’esistenza sono sempre le stesse, allora come oggi: la decadenza fisica; l’attenuarsi delle capacità intellettive; l’impossibilità di godere dei piaceri dei sensi mentre la morte s’avvicina.
Le forze fisiche, grazie all’esercizio e alla corretta alimentazione – osserva Catone – si possono in parte preservare ma oltre al corpo deve essere curata anche la mente perché è vero che la memoria diminuisce ma solo se non viene esercitata. E Catone ricorda che Sofocle da vecchio aveva continuato a scrivere e anche Platone, morto a ottantun anni mentre era impegnato nel suo lavoro; e Isocrate novantaquattrenne aveva composto l’opera intitolata Panatenaico, vivendo poi ancora cinque anni. Gorgia di Leontini, suo maestro, a centosette anni ancora studiava e lavorava e a chi gli chiedeva perché volesse vivere così a lungo, rispondeva: Non ho niente da rimproverare alla vecchiaia!
Risposta degna di un uomo colto, sottolinea soddisfatto Catone, spiegando che sono gli ignoranti ad imputare alla vecchiaia vizi e colpe, perché non può essere considerato un male quello che natura impone di necessità. Come la vecchiaia, appunto.
Forse che la vecchiaia subentra furtiva alla giovinezza più rapidamente di quanto la giovinezza subentri furtiva all’infanzia? domanda Catone ai giovani interlocutori sempre più meravigliati. Quando gli anni passati, per tanti che siano, volano via non c’è consolazione che possa mitigare la vecchiaia degli stolti mentre gli uomini saggi devono seguire la natura che è un’ottima guida e non è possibile che abbia pensato bene tutte le parti della vita tranne l’ultimo atto. Deve esistere qualcosa di ultimo, qualcosa di compiuto anche per la maturità, qualcosa sul punto di cadere proprio come accade ai frutti degli alberi e ai prodotti della terra. Sì, il saggio deve sopportare questa realtà con condiscendenza: la lotta dei Giganti contro gli dei che altro è se non una ribellione contro natura?
Chi sostiene che la vecchiaia non abbia parte attiva nella vita pubblica è come se dicesse che il timoniere, nel corso della navigazione, non fa niente perché, mentre gli altri salgono sugli alberi, corrono su e giù per i ponti e svuotano la sentina, lui invece siede tranquillo a poppa a reggere il timone. Il vecchio non fa le stesse cose dei giovani ma molto di più e meglio. le grandi azioni non sono frutto della forza, della velocità o dell’agilità fisica ma del senno, dell’autorità, della capacità di giudizio, qualità di cui la vecchiaia, di solito, non solo non si priva ma anzi si arricchisce.
Bisogna affrontare la vecchiaia con coraggio, cari Lelio e Scipione, conclude Catone, per compensare i suoi difetti con le cure. Bisogna provvedere al corpo e molto di più alla mente e all’animo: come se in una lampada non versassi più olio, la vecchiaia li spegne; ma mentre il corpo per lo sforzo degli esercizi si sente pesante, l’animo esercitandosi si fa più leggero.
Infelice il vecchio che, in un’esistenza molto lunga, non è riuscito a capire che la morte va disprezzata, tenendola in nessun conto se porta all’annientamento dell’anima, o addirittura va desiderata se conduce l’anima in un luogo di vita eterna. Senza affliggersi, come non si affliggono i contadini quando, passata la dolcezza della primavera, arriva