Elogio del Dormiveglia – di Paolo Zisca

Non capita anche a voi, qualche mattina, quando il sonno non si è ancora del tutto arreso, di abbandonarvi con una punta di voluttà al dormiveglia? Quel leggero vagare tra l’esserci ed il non esserci… A me suscita sempre una sorta di sfumato,significativo piacere. Se solo lo zio Sigmund Freud ne avesse intuito l’importanza! Avrebbe potuto scrivere un trattato: “L’interpretazione dei dormiveglia”. Milioni di strizzacervelli avrebbero potuto campare su miliardi di sfumature. Di grigio. Di blù. Di verde. Di giallo. Di rosso. Perché, a differenza dei sogni, quasi sempre il dormiveglia è a colori. E’ piacevole galleggiare nel flusso dei pensieri, nei ricordi più o meno attendibili, più o meno confusi. Lasciare andare liberi i neuroni nei loro intrecci di strade imprevedibili.

“Va dove ti porta il neurone”… Il neurone o meramente il cuore? La differenza non è poi così certa. Né sostanziale. Tamaro. T’amerò. Perdutamente forse. “Le cose che ci accadono non sono mai fini a se stesse”. Lei lo disse. Ma cos’è che ci fa rivivere episodi che ormai si confondono nella nebbia, tra il vero, il verosimile e l’immaginario? Immaginare parole che non si sono dette. Che si sarebbero potute dire. Che forse si sono dette per davvero. Momenti statici. Momenti dinamici. E poi l’affluire,per incanto, di ragionamenti sofisticati, che durante il giorno non trovano mai spazio. Soluzioni, associazioni, idee, confronti, pensate geniali. I ricordi. In fondo che cos’è l’essenza della vita se non l’accumularsi di ricordi. Quelli propri e quelli altrui, quelli lontani e quelli vicini, quelli reali e quelli fasulli, quelli presenti e quelli presunti, quelli in essere e quelli rimossi. Diceva lo zio Sigmund che i rimossi sono proprio loro a condizionare il presente. IL presente? L’attimo in cui le infinite possibilità del futuro collassano nella singolarità del passato. Bellissima. Ma chi l’ha detta? Un grande fisico. No, non un fusto, palestrato. Uno quantistico con più probabilità. Il significato un po’ da iniziati. Però bella, no? E poi, poi ci sono i ricordi inventati. Quelli erano il mantra del vecchio Yor. Con
rassegnata pacatezza:

– Come butta Yor?
– Ah…! Ormai non vivo che di ricordi inventati!

Grande saggio,il vecchio Yor. Maestro di vita. “Maitre à penser”. Il vecchio Yor viveva in una piccola casa sull’isolotto, ai piedi del faro. Così vicina al mare che, nelle giornate di Libeccio, se non sprangava ben bene le persiane del balcone, le ondate gli scaricavano in salotto paiolate di latterini e acciughe. Appassionato di storia, il vecchio Yor. Aveva scritto trattati e saggi di riconosciuto interesse. Ma, in primis, era stato un gran “trombeur de femmes”. La sua casa, meta costante di pellegrinaggi per femmine più o meno attempate. Ma non rassegnate. Il vecchio Yor tuttavia, aveva un nemico. Tracotante. Soprannominato “Moby Prick”. Un gabbiano insolente e incontinente. Cacava quasi tutti i giorni sull’autovettura “seminuova” del vecchio Yor. La cacca del gabbiano, si sa, è putrida e corrosiva. ci aveva rimesso una fortuna in polish e cerette. Il vecchio Yor si era sfiancato in una caccia accanita, senza quartiere. Aveva persino comprato una fionda professionale. Col risultato di rimetterci uno specchietto e di bozzarsi il cofano. Moby Prick se ne andava sempre in volo planato. Sghignazzando sgangheratamente. I suoi ricordi sapientemente, solo in parte, inventati…. Caro vecchio Yor!

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