ESSERE VECCHI O SENTIRSI VECCHI? – di Mauro Cauzer, psicoterapeuta

Se, attualmente, molti sono concordi nell’affermare che le persone anziane rappresentano un patrimonio civile e una risorsa decisiva per lo sviluppo sostenibile e responsabile della società, non tutti sono a conoscenza dei processi che portano all’invecchiamento e al “sentirsi vecchi” Dal momento che ogni persona invecchia con ritmi e modalità del tutto individuali, non è possibile definire i confini cronologici o biologici della senilità ma è possibile delineare una senescenza inscrivibile nell’ambito delle categorie dell’esistenziale, del sociale, del culturale e,purtroppo,anche nell’ambito della considerazione che l’anziano ha di sé stesso, schiacciato com’è dalla pressione degli altri, condizionato da stereotipati modelli giovanilistici che lo giudicano vecchio.

Compito della ricerca psicologica,tesa ad interrogarsi sul significato della cosiddetta terza età, è la definizione del nuovo ruolo dell’anziano all’interno della globalità del ciclo di vita. Secondo questa prospettiva, detta psicologia dell’arco della vita, lo sviluppo è un processo che, con successivi adattamenti, dura tutta l’esistenza con acquisizioni derivate da esperienze che si accumulano e dall’apprendimento di nuove competenze. Dunque ogni età, compresa quella dell’invecchiamento, è caratterizzata da varie acquisizioni cognitive e affettive,da influenze sociali e da una plasticità, all’interno di ogni individuo, di adattare le proprie risorse fisiche e psichiche alle condizioni di vita determinate dall’ambiente esterno. La psicologia che studia l’invecchiamento sta cercando quindi di definire l’identità dell’anziano in relazione sia all’ambiente socio-culturale nel quale si trova inserito sia in relazione alla tipologia dei rapporti interpersonali.

L’identità è il senso del nostro essere, il senso della nostra continuità attraverso il tempo, il senso della nostra unicità rispetto a tutti gli altri. Il senso di identità si forma, si costruisce e si modifica con le esperienze, le prove, le conferme con la consapevolezza che i nostri vissuti appartengono a noi stessi e che possediamo abilità cognitive ed emozionali.

La formazione dell’identità , nei diversi stadi della vita,è quindi un processo di scambio che avviene con e tramite il confronto con il “sociale”. L’identità allora è ciò che ci fa sentire simili o diversi dagli altri, che ci fa sentire di esistere come persone aventi un particolare ruolo sociale, ci dà il senso di appartenenza ad un gruppo e ad una cultura e ci consente di rimanere noi stessi nonostante i cambiamenti delle situazioni. Secondo E.Erikson (2000), ogni età della vita è caratterizzata da una “crisi” psicosociale propria di quella determinata età, in cui sono possibili due esiti diversi: uno positivo che porta verso la
costruzione e il mantenimento dell’identità personale e uno negativo che porta verso la disintegrazione. Ora appare evidente che nella persona anziana, causa il pensionamento, l’identità professionale non esiste più e l’identità sociale viene intaccata dal fatto di appartenere a un gruppo ( i vecchi ) che non viene stimato da una società giovanilista che fa dell’efficienza,della produttività e dell’apparire i suoi valori prioritari.

Gli anziani possono allora essere considerati come diversi perché il loro modo di essere non viene compreso e le loro abitudini non vengono accettate, perché sono lontani dagli attuali parametri sociali, dai ritmi frenetici della vita, dalle ambiziose aspettative di successo, da tutto ciò che la maggior parte della gente crede dia sicurezza in quanto conosciuto e decifrabile. Vengono ammessi soltanto gli anziani ancora professionalmente produttivi, quelli che ancora si vestono giovanilmente, quelli che, in fondo, cercano di mimetizzare l’avanzare dell’età, mentre sono “fuori” gli anziani non più attivi, non più autonomi, non più capaci.

Dunque una grande influenza nella definizione dell’identità dell’anziano viene da fattori sociali come la perdita di status, la perdita di ruolo e di potere e da altri eventi come le perdite luttuose del partner e degli amici, la perdita dei figli che se ne vanno: tutti fattori di rischio che mettono in discussione l’ identità. Oltre a questi fattori che, pur avendo una notevole influenza sui vissuti della persona anziana,possiamo definire estrinseci, ci sono altri fattori intrinseci che minano l’identità dell’anziano.

Sicuramente la forza muscolare si riduce, le capacità sensoriali perdono d’efficacia, riflessi e movimenti si rallentano, c’è un certo deficit della memoria, della concentrazione e dell’attenzione e tutto ciò porta una grossa ferita al proprio narcisismo. All’anziano viene richiesto un notevole sforzo per una nuova riformulazione di sé stesso, un adattamento al cambiamento che è avvenuto. Di fronte ai fenomeni d’ansia che ogni cambiamento comporta, in quanto bisogna affrontare qualcosa di non conosciuto, scattano dei meccanismi di difesa quali la negazione che si manifesta con un look giovanile, con il dongiovannismo, con il ricorso alla chirurgia estetica, con l’uso di pillole e cosmetici anti-aging), la regressione vista come una ritirata strategica a livelli di funzionamento inferiore che si esprime con frasi come “ non ho più la testa di una volta, non ci vedo più tanto bene, non ho più la forza di prima”, la depressione , cioè una chiusura verso il mondo esterno proteggendosi così dal dover affrontare ulteriori delusioni e perdite. Inoltre dobbiamo fare i conti con il fantasma del vecchio che alberga in ognuno di noi, con quella angosciosa immagine interna di vecchio non autosufficiente, dipendente da qualcuno, che, alla fine del ciclo della vita, deve ritornare in modo circolare alla dipendenza dell’inizio della vita.

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