Dare una definizione della parola animazione non è difficile, la prima cosa che viene in mente è l’unione fra i due concetti che la compongono: anima e azione. Ma cosa significa dare “azione all’anima?” Significa semplicemente restituire un senso, in tema di anzianità e vecchiaia, alla vita nella sua prospettiva, indipendentemente dall’età raggiunta e dai limiti non necessariamente patologici che ciò comporta.
Fare animazione in una struttura per anziani non autosufficienti poi, significa ancora di più porre l’obiettivo non tanto sulle mancanze, quanto sulle risorse, spesso inaspettate che le persone possono ancora avere.
L’istituzionalizzazione comporta sempre il rischio d’una spersonalizzazione dell’individuo, nel momento in cui è costretto ad abbandonare la propria casa per vivere in una Rsa, scelta dettata spesso dall’impossibilità a gestire una disabilità fisica o cognitiva.
In questo contesto, l’animazione si colloca nello spazio lasciato libero dalle pratiche socio sanitarie, dove si arresta la cura effettuata attraverso le pratiche mediche e infermieristiche e di soddisfazione dei bisogni primari: nutrizione, pulizia e comfort.
Ma chi sono coloro che mettono in pratica le attività cosiddette di animazione? In quasi tutte le strutture esistono figure che sono preposte a svolgere attività rivolte in quella direzione ma, se ci pensiamo bene, l’animazione è una pratica che possono e devono o dovrebbero attuare tutti i soggetti che in qualunque misura entrano in relazione con l’anziano. Perché la parola chiave è proprio la relazione, dal momento in cui l’operatore entra in stanza per svolgere le prime attività legate al risveglio, a quando la persona va a dormire la sera. Tutte le figure che appartengono al sistema di una Rsa, in qualche modo interagiscono con i cosiddetti ospiti, ciascuno per le proprie mansioni e competenze, ma non deve mai sfuggire la consapevolezza che l’anziano, costretto a vivere in quello spazio, ha in quel luogo la sua casa e in una certa misura, le sue cose. I veri ospiti, per usare il termine, dovrebbero essere definiti quanti a vario titolo, soggiornano solo temporaneamente in quei corridoi e in quelle stanze, per poi tornare alla propria quotidianità e alle proprie case.
La base dell’animazione quindi è la capacità di ciascuno di dare un riconoscimento, una dignità alle persone, a prescindere dall’età e dalla patologia della quale possono essere affette. Non bisogna poi dimenticare che la vecchiaia non è una patologia in sé, ma è soltanto una fase della vita in cui la persona può apparire più fragile, ma ugualmente portatrice di esperienza e valori e a cui la vita ha in alcuni casi tolto una parte di autonomia.
A partire da questa idea quindi, chi si prende cura di questi anziani, ha l’obbligo di valorizzare quelle che sono le risorse, anche minime ancora presenti in una persona anche fortemente debilitata, risorse fisiche, cognitive ma soprattutto affettive e relazionali.
Detto questo, il ruolo poi delle professionalità preposte alle pratiche animative propriamente dette, educatori e animatori, sono indirizzate nello specifico a perseguire gli obiettivi pensati per ogni singola persona, diversa per storia, esperienza di vita, capacità, preferenze e stato di salute.
L’animatore, di concerto con tutte le altre figure dell’equipe di cura, è l’operatore che si occupa di valorizzare non soltanto le cosiddette capacità residue, ma sperimenta e stimola nuove possibilità insieme alla persona di cui si occupa, in una costante riprogrammazione di quello che è il tempo di vita di ciascuno.
Fare animazione è entrare in contatto con il mondo che appartiene alle persone, entrare in punta di piedi nelle storie, nei vissuti e trarne energia, capacità, sempre tenendo presente il rispetto dell’autodeterminazione dei soggetti di cui ci si prende carico.
Tutte le persone possono imparare e insegnare cose a qualunque età e con qualunque livello cognitivo, la pratica deve soltanto essere bilanciata con le possibilità che la condizione psico fisica della persona consente.
Progetti mirati quindi che tengano conto delle esperienze pregresse, raccolta dei dati da parte dei familiari, quando non è possibile raccoglierli dai diretti interessati, ma sempre tenendo presente che quelle persone hanno avuto e devono avere ancora una vita degna di essere vissuta.
Solo così l’anima di ciascuno può essere messa in moto, nella direzione di un benessere il più possibile vicino alle proprie aspirazioni, passate, presenti e future.