Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger e il valore della Memoria – di Mariella Grande

Quando vince il premio Strega nel 1976 con il suo romanzo Le quattro ragazze Wieselberger,
Fausta Cialente ha settantotto anni ed è sempre attiva come scrittrice, giornalista e traduttrice.
Nello stesso anno cura per le Edizioni Marzotto la traduzione del romanzo di Louisa May Alcott
Piccole donne che, delle numerose versioni in italiano, è sicuramente la più attenta e interessante
per l’adesione tutta moderna e femminista alla storia delle sorelle March, sullo sfondo di
un'America ottocentesca. Segue nel 1977 una nuova edizione di Piccole donne crescono con la sua
traduzione e poi di Piccoli uomini che traduce per Giunti Marzotto nel 1983. Per l’alto valore
letterario è significativo anche ricordare la sua traduzione di Giro di vite di Henry James pubblicato
da Einaudi nel 1985 quando la Cialente ha ottantasette anni e continua una vita ricca di
programmi dedicati alla scrittura, vocazione che risaliva a tempi lontani: ≪ quando bambina –
ricorda la Cialente – […] mi richiudevo a scrivere le mie storie [nella soffitta] fra il sussurro dei tarli
e il rumore della pioggia sui tegoli, vergognandomi moltissimo, col tremore di essere scoperta.
Quei primi personaggi sono nati dal batticuore, e li seppellivo, tra un capitolo e l’altro, sotto un
mucchio di vecchi tappeti o in fondo ad una cassa. […] Si nasce portando dentro di sé la necessità
di scrivere e raccontare, come il cantante nasce con la voce o l'attore con l'istinto della
rappresentazione. ≫
La scrittura occupa un posto centrale nella vita della Cialente che trascorre gli ultimi anni in
Inghilterra dove muore l’11 marzo 1994. Dopo infiniti viaggi e vari spostamenti, tra lunghi
soggiorni a Roma, si era trasferita a Pangbourne, nel Berkshire, per vivere accanto alla figlia Lili
nata dal matrimonio con il compositore Enrico Terni che nel 1921 aveva seguito ad Alessandria D’Egitto e
poi al Cairo, dove era rimasta fino al 1947. Di quegli anni sono le prime pubblicazioni della
scrittrice che si sentirà “straniera dappertutto” nei continui spostamenti prima con la famiglia di
origine in Italia, poi con il marito in Egitto e poi da sola anche in Palestina e con la figlia Lili in
Francia e in Kuwait, seguendo il genero John Muir, un diplomatico inglese.
Da questi contatti con mondi politici, culturali e sociali molto dissimili tra loro si affina la sua
capacità di riconoscere e raccontare l’essenza comune dell’essere uomo e donna, sapendo
cogliere il valore delle differenze.
L’ultimo romanzo della Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, nasce dalla necessità di dare
voce alla Memoria e l’articolata costruzione narrativa inizia con la storia della famiglia materna
Wieselberger, la classica famiglia borghese benestante della Trieste austro ungarica di fine
Ottocento. In terza persona avviene la presentazione del capofamiglia, il nonno Adolfo Gustavo,
musicista e compositore, sostenitore dell’irredentismo triestino, e poi della moglie e delle quattro
figlie Alice, Alba, Adele ed Elsa, la madre della scrittrice. Vengono ripercorsi i fatti salienti di quegli
anni, i concerti organizzati nella casa in via del Campanile, l’estate nella villa di campagna sulla via
dell’Istria e poi il periodo che Elsa trascorre a Bologna per studiare canto ma sarà proprio la
carriera di cantante lirica a diventare l’occasione per l’incontro di Elsa con il futuro marito, Alfredo
Cialente un ufficiale di fanteria del Regno d’Italia. Elsa diventa così il simbolo di un’opportunità
sprecata: per amore rinuncia a diventare una donna indipendente e sarà una vita non facile la sua,
trascinata insieme ai figli, Renato nato nel 1897 e Fausta nata nel 1898, nei trasferimenti del
marito, attraverso vari distaccamenti del Regno. Fausta, travolta da questa vita nomade, avrà un
unico punto fermo nella sua vita di bimba e di adolescente: le vacanze trascorse a Trieste, per lei “
il più luminoso, il più attraente, il più civile luogo del mondo.”
Dalla seconda parte del romanzo, l’autrice racconta in prima persona e il movimento narrativo si
snoda in un percorso di crescente solitudine perché la famiglia triestina, attraverso le vicende
segnate dalle due guerre mondiali, si disperde e Fausta Cialente resta via via negli anni l’ultima

custode di una Memoria che nel finale del libro ricompone in un dialogo tra passato e presente
carico di emozioni. Mentre nella ≪ grande baia di Kuwait volta verso il nord ≫ cammina a piedi
nudi sulla spiaggia seguendo la figlia Lili e le piccole nipoti che guarda con tenerezza, un pensiero
la sfiora improvviso: ≪ […] se mi volto non vedrò forse mia madre camminare dietro di noi, anche
lei su questa spiaggia? è possibile che sia lì a seguirci e a volerci ancora bene? Non mi volto
naturalmente, non voglio vedere la spiaggia deserta alle mie spalle, né se l’ultima delle triestine
Wieselberger ci sta davvero seguendo, piena d’amore anche lei, ne sono certa, e forse di una
affettuosa, indulgente tolleranza, perché siamo vive, noi, e lei invece è morta, dunque riposa per
sempre, nulla potrà mai più deluderla né ferirla o recarle offesa. Forse è questo il suo messaggio,
ed è venuta fin sulle rive del Golfo Persico a portarcelo: vi voglio ancora bene, ma lasciatemi in
pace, adesso, e pensate a vivere sbagliando il meno possibile. Noi abbiamo tanto sbagliato.≫

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