Dal 10 al 20 febbraio 2022 si è svolto in presenza il 72° festival del Cinema di Berlino, comunemente detto “Berlinale”. Mi piace sottolineare le parole “in presenza” dal momento che l’edizione del 2021 si è svolta unicamente online. Quindi un ritorno nei luoghi del festival e, soprattutto, nelle sale. La Berlinale infatti, rispetto al festival del Cinema di Cannes e alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia, si svolge principalmente nelle sale cinematografiche cittadine e si rivolge molto di più al pubblico il quale può acquistare i biglietti per quasi tutte le proiezioni.
Un ritorno in presenza, quindi, caratterizzato da non poche difficoltà e di prese di posizione ben definite nei confronti della prevenzione del contagio che prevedevano mascherine durante tutte le proiezioni, capienza delle sale ridotta al 50%, prenotazione online dei posti e tamponi giornalieri per i membri della stampa. Tutte queste misure – doverose e apprezzate – non hanno però impedito di respirare nuovamente quel clima da festival che era mancato l’anno scorso. Perché la visione casalinga dei film, per quanto più comoda e meno dispendiosa, toglie tutta la componente sociale che un festival porta intrinsecamente con sé. Andare a pranzo con i colleghi e discutere del film; confrontarsi tra sconosciuti durante le code sui film visti nei giorni precedenti; decidere di recuperare un film inizialmente scartato, o viceversa di saltare un film già inserito nel proprio personale programma, perché chi l’ha già visto dice che è, rispettivamente, “il film del festival” o “la peggio schifezza”. Sono alcuni dei comportamenti tipici di una manifestazione come questa e che rendono ogni festival del Cinema un’esperienza unica.
La Berlinale, per tradizione, non ha quasi mai i lustrini e il glamour di Cannes e Venezia, un po’ per scelta artistica e un po’ perché a febbraio generalmente i film mainstream della nuova stagione non sono ancora pronti. L’edizione di quest’anno, probabilmente complice anche la pandemia che ha bloccato molte produzioni, è stata un po’ sottotono rispetto ad altre: complessivamente i film del concorso erano molto medi – attenzione: non mediocri, parola che generalmente porta con sé una connotazione negativa. Semplicemente è stato complesso trovare film che spiccassero davvero, che avessero qualcosa da dire e lo facessero in maniera cinematograficamente interessante.
Sicuramente merita citare Leonora addio diretto da Paolo Taviani, per la prima volta dietro la macchina da presa senza il fratello Vittorio, scomparso nel 2018. Il film, com’era immaginabile, parla di elaborazione del lutto, raccontando prima l’odissea della traslazione delle ceneri di Pirandello dal cimitero di Roma a un apposito monumento fatto costruire presso Agrigento e poi mettendo in scena Il chiodo,
l’ultima novella scritta da Pirandello poco prima della morte, che avrebbe dovuto essere presente in Kaos, film del 1984 diretto dagli stessi fratelli Taviani. Leonora addio è la chiusura di un cerchio per Paolo Taviani il quale però riesce a trasformare un film intimo e personale in un prodotto universale che riesce ad arrivare al cuore di tutti.
Già uscito in sala il 17 febbraio, Leonora addio è il primo film della Berlinale ad avere una distribuzione in sala è d’uopo citare alcuni tra i film migliori di questa edizione – senza soffermarcisi più che tanto dal momento che non si sa neppure se avranno una distribuzione italiana. Both Sides of the Blade di Claire Denis, triangolo amoroso apparentemente classico ma trattato dalla regista quasi come se fosse un thriller. Call Jane di Carol Phyllis Nagy, già sceneggiatrice del bellissimo Carol, film sull’aborto visto una volta tanto come un vero supporto alla donna. That Kind of Summer del regista canadese Denis Côté, una lunga terapia estiva per tre ragazze affette da ipersessualità. The Novelist’s Film del regista sudcoreano Hong Sang-soo, sempre molto uguale a sé stesso ma che questa volta diventa più meta-cinematografico e, per questo, meno banale. Peter Von Kant di François Ozon, intelligente remake de Le lacrime amare di Petra von Kant di Rainer Werner Fassbinder. Rimini di Ulrich Seidl, spaccato amarissimo ma dall’ambientazione sorprendente di un cantante tedesco costretto ad allietare i suoi connazionali che vanno in vacanza a Rimini d’inverno.