HALLELUJAH: LEONARD COHEN, a JOURNEY, a SONG

un docufilm per raccontare la vita del cantautore canadese Leonard Cohen (1934-2016) attraverso la storia della canzone Halleluja di Mariella Grande

I film documentari su personaggi famosi sono sempre interessanti per l’intreccio tra passato e presente, proposto dentro spazi che non riservano sorprese perché si conosce la fine della storia. E rappresentano una buona occasione per scoprire sfumature nascoste nelle vite che raccontano, offrendo a chi guarda preziose istruzioni per l’uso delle proprie esistenze. Alla Mostra del cinema di Venezia78, quando è stato presentato fuori concorso il film di Daniel Geller e Dayna Goldfine Hallelujah: Leonard Cohen, a journey, a song la sala era affollata e non solo di vecchi fan, tra il pubblico tanti erano i giovani presenti e alla fine della proiezione tutti erano commossi per la magia della musica che sprigionava la forza vitale di Cohen.

La composizione di Hallelujah e le diverse versioni di quello che è il brano più noto della produzione musicale del cantautore sono il punto di riferimento del racconto cinematografico che si allarga alla sua vita e alla sua carriera, diventando la stella polare d’un viaggio tra i principali nodi psicologici di un mondo fatto di poesia, di scrittura, di musica. Tra i temi più esplorati, la religione e l’importanza della sua identità ebraica, ricca di spiritualità e di fede, e poi l’amore tra tanti amori, e sempre la depressione che, dopo anni di lavoro interiore, alla fine Cohen riuscirà a dissolvere in un equilibrio fatto di pace e serenità, raggiunto sulla soglia dei settant’anni anche grazie a un lungo periodo trascorso in un monastero Zen. Il tempo della narrazione del film è cronologico, parte dagli esordi e arriva agli ultimi spettacoli che sono il suo commiato dal pubblico quando sul palcoscenico canta con l’energia di sempre e la voce è sempre unica e roca. Non è l’esibizione di un vecchio, è l’artista che vive la sua verità e l’emozione è forte. Indimenticabile il concerto a Tel Aviv nel 2009 quando si conclude in un appello alla pace tra israeliani e palestinesi mentre le mani del cantante si tendono sulla folla in una benedizione e l’energia va oltre lo schermo. Alla fine del documentario, una chiave di lettura è racchiusa nella breve sequenza in cui Leonard si toglie le scarpe e con il suo inseparabile cappello nell’abito scuro si distende sul letto e resta immobile mentre la sua voce fuori campo afferma: “La vita è impenetrabile, ci sono due modi per reagire: o alzi il pugno o dici alleluia, io le ho provate entrambi”.

E l’ironia è presente in tutto il film, prende le distanze dalla vita e segna l’alternativa che non è mai una via di fuga. Approvato per la produzione dallo stesso Cohen poco prima del suo ottantesimo compleanno nel 2014, il film con il suo ricco materiale d’archivio, fotografie e filmati di esibizioni, interviste rilasciate in quarant’anni, tra passato e presente, rivela lo spessore umano dell’artista quasi mistico e il continuo tentativo di ricercare quanto di buono è comunque presente nella vita, con la convinzione di dover fare comunque sempre il massimo. Anche se la fatalità farà il suo corso, c’è il contributo del divino a dare sostegno. La storia della canzone Halleluja è stata, come la vita di Cohen, una “fabbrica infinita” per la storia di cadute e rinascite, per il lavoro incessante d’un testo che oggi, nelle numerose incarnazioni, sopravvive al suo creatore mantenendo intatto il fascino di preghiera sospesa tra fede e amore sensuale. La metafora di una vita attenta alla condizione umana, tormentata da un’inquietudine esistenziale che non si ripiega su se stessa ma continua a ricercare anche nei lunghi periodi di assenza dal mondo della musica, fino a dissolversi lasciando spazio all’amore universale, nella rappacificazione con se stesso e con il mondo intero.

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