Se la legge definisce il concetto di minore, cioè la persona che non ha ancora compiuto i
18
anni, invece non si interessa dell’ anziano il cui stato può essere delineato dalla medicina,
dalla psicologia, dalla sociologia, ma certamente non dai codici che prevedono norme
generiche riferibili anche alla incapacità dell’ anziano, ma non specificamente a esso (come
l’interdizione, l’inabilitazione, la capacità a testare, la incapacità naturale). In effetti,
identificare l’anziano e differenziarlo dagli altri cittadini maggiorenni, avrebbe potuto
rappresentare una forma di discriminazione: l’anziano capace e attivo è dunque e
giustamente, un soggetto come qualsiasi altro dal punto di vista giuridico, conservando il
pieno godimento dei suoi diritti di cittadino.
L’art. 3 della nostra Costituzione assume, in quest’ ottica, la portata di norma di riferimento
laddove sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni, tra l’altro,
di condizioni personali e sociali.
Tuttavia un approccio di natura sostanziale e non meramente formale al principio di
eguaglianza, impone di tenere conto del fenomeno della discriminazione indiretta che si
verifica allorquando la neutralità delle regole rispetto a determinate situazioni soggettive si
traduce, di fatto, in forme di esclusione dall’accesso ad una protezione invece necessaria,
proprio in considerazione del sopraddetto principio.
In altre parole, laddove a determinate situazioni soggettive sono riferibili condizioni
deteriori rispetto ad altre sotto vari profili, la tutela del principio di eguaglianza, inteso in
senso sostanziale, impone di mettere a punto interventi normativi ad hoc a favore di quelle
specifiche situazioni, con strumenti di tutela adeguati alle esigenze del caso di specie.
Se è vero che all’invecchiamento non sempre corrisponde la necessità di cure ed assistenza,
se esiste certamente una fascia di individui che per cultura, estrazione sociale ed
opportunità economiche possono permettersi di vivere ogni momento della loro vita senza
sentire nocumento dalI’evoluzione dell’ età anagrafica, questo non può e non deve far
dimenticare che la maggior parte degli anziani conduce una vita grigia e sedentaria a causa
delle malattie, degli acciacchi, della precarietà economica.
Questi anziani, vivono scontrandosi giornalmente con i pregiudizi e le difficoltà che la
società continua a riservare loro.
E a questo proposito devo rammentare che esiste un articolo del Codice Penale il 643 che
tutela le persone che sono vittime di circonvenzione.
La circonvenzione colpisce per la stragrande maggioranza la fascia cosiddetta dei “grandi
vecchi” età che va dagli 85 anni in poi.
E consiste nell’indurre una persona, abusando delle suddette condizioni di inferiorità, a
compiere un atto dagli effetti dannosi. La induzione comprende qualsiasi attività di
suggestione e, quindi, qualsiasi mezzo idoneo a determinare o, quantomeno, a rafforzare
nel soggetto passivo il consenso al compimento di un atto giuridico a sé dannoso.
Non è richiesta una speciale attività del soggetto attivo e, tantomeno, l’uso di artifici o
raggiri essendo sufficiente l’impiego da parte dell’agente di consigli, esortazioni, lusinghe o
pressioni diretti ad ottenere il consenso.
Occorre chiedersi se la società del terzo millennio è disposta a dare risposte concrete ai
problemi della terza età creando quel supporto normativo e socioassistenziale organico e
programmato che finora è mancato, e che pure risulta indispensabile nell’ottica del rispetto
del principio fondamentale dell’ eguaglianza e della non discriminazione.
Così come nel passato si è individuato il “diritto dei diritti” del minore, sarebbe bene
pensare oggi ad un “diritto dei diritti ” dell’anziano, interpretando, in un’ottica estesa alle
fonti sovraordinate del nostro ordinamento, le intenzioni dell’art. 25 della Carta Europea
dei Diritti dell’uomo in cui “l’Unione riconosce e
rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente” per la prima
volta dandosi voce al diritto dell’ anziano come soggetto, come individuo investito di una
legittimazione propria.
Nel 1992 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Risoluzione 47/5) dedicò il 1999
all’Anno Internazionale delle Persone Anziane, nell’intento di fronteggiare la sfida del
crescente invecchiamento della popolazione.
Il 1999, che è stato l’Anno Internazionale delle Persone Anziane, aveva anche come tema il
concetto di “una società per tutte le età” e si articolava in quattro dimensioni principali:
1. la crescita individuale delle persone per tutta la vita;
2. le relazioni intergenerazionali;
3. la mutua relazione fra l’invecchiamento della popolazione e lo sviluppo;
4. la situazione delle persone anziane.
Nel 2000, durante il Consiglio Europeo di Lisbona è stata avviata la risposta dell’Unione
Europea all’invecchiamento. Questa ha identificato in quella sede, quattro sfide
fondamentali:
1. la gestione delle implicazioni economiche dell’invecchiamento al fine di mantenere la
crescita e assicurare la sostenibilità della finanza pubblica;
2. l’adattamento del sistema formativo e del sistema produttivo ad una popolazione e ad
una forza lavoro che si riducono di numero
3. la garanzia di pensioni adeguate
4. l’ assicurazione di un’assistenza sanitaria di qualità e la contemporanea sostenibilità
finanziaria dei servizi.
Il Piano Internazionale sull’Invecchiamento del 2002, concordato a Madrid, ha posto
l’obiettivo di garantire alla popolazione di tutto il mondo i diritti umani e le libertà
fondamentali e, in particolare, la possibilità di invecchiare con sicurezza e dignità.
La Legge n. 6 del 2004, che ha dato vita all’istituto dell’amministrazione di sostegno, su
cui vale la pena soffermarsi proprio perché ha rappresentato una forte rottura rispetto ai
precedenti consolidati schemi rigidi e vetusti, per ciò che riguarda la tutela dei soggetti
fragili.
La Legge in questione, rileggendo gli istituti della interdizione e della inabilitazione, non
ha come unici destinatari gli anziani intendendo piuttosto sostenere tutti coloro che si
trovino nella impossibiltà, anche transitoria di provvedere ai propri interessi.
Essa esprime il principio per cui il sostegno alla cura della persona e agli interessi di essa
non si limita alla sfera economico patrimoniale ma tiene conto dei bisogni e delle
aspirazioni dell’uomo, ricomprendendo ogni attività significativa della vita civile.
Per quanto possa dirsi significativa la novella del 2004, la prospettiva della realizzazione
della “società per tutte le età” propugnata a livello internazionale, sembra stentare a
decollare, almeno per quanto riguarda il nostro Paese dove si sono registrati al massimo
interventi sporadici di natura assistenziale del tutto scollegati gli uni dagli altri, di per sé
inidonei a guidare il nostro ordinamento verso una vera e propria politica non
discriminatoria nei confronti degli anziani potrà trovare l’equo ristoro solo se l’uomo di
oggi riuscirà a costruire con saggezza e giustizia la società del domani attraverso fatti
concreti.
In questo senso un rilancio del ruolo della famiglia, anch’essa in crisi, ma che
tradizionalmente ha costituito il sostegno principale e culturale per la persona anziana, la
rete all’interno della quale l’anziano restava per anni imbrigliato e protetto potrebbe
giocare una funzione importante. Ma il recupero dei valori di supporto familiare non può
prescindere dalla maturazione e dallo sviluppo, ormai improcrastinabile, nel nostro Paese,
di forme di solidarietà ad hoc a favore dell’anziano secondo i principi sopra delineati.