I Forzati del Riposo – di Giorgetta Dorfles

“Vedrai, qui troverai un supporto continuo, di persone specializzate, con cure adatte alla tua patologia”.

Certo nelle Case di Riposo l’anziano riceverà tutte le forme di sostegno medico e assistenziale, sarà addirittura al centro di un profluvio di interventi, di cure, esami, test; diverrà una sorta di oggetto di un accanimento sanitario. Ma essere calato nella veste di assistito, totalmente in balia dell’alternarsi continuo del personale dell’Istituto, può alle volte far sentire l’anziano un reietto, incapace di badare a se stesso; accade perfino che regredisca a un livello infantile, perché sono i bambini ad avere bisogno di continue prescrizioni e sorveglianza.

Esiste un paradosso in questa esclusiva cura del corpo: si fa di tutto per prolungare la sopravvivenza dell’anziano, ma non si pensa alla totalità della sua persona. Infatti, se si facesse un’indagine sui bisogni dei vecchi non autosufficienti, si scoprirebbe che vorrebbero esercitare da soli, o aiutati da altri, il controllo sia pure limitato della loro vita. C’è un’altra cosa che li solleverebbe: poter trasferire nella nuova residenza alcuni mobili o oggetti personali, carichi di ricordi di vita familiare e quindi depositi inesauribili di affettività.

C’è un messaggio ambiguo alla base dell’offerta di una vita sistemata su tutti i fronti. “Vedrai che comodità, non farai più la fila alla posta per ritirare la pensione, non dovrai attendere il tuo turno dal medico, nella Casa di Riposo è tutto organizzato, avrai tutto a disposizione, senza sforzo”. Ma, anche se occuparsi delle proprie incombenze può risultare faticoso, è questo lo stimolo che può invitare ad andare avanti? Consegnarsi nelle mani di qualcuno e abdicare per sempre alla gestione di se stessi, è questo che può rendere serena la vecchiaia? O non, piuttosto, identificandosi nella persona assistita, si va incontro a un impoverimento degli scambi relazionali, a una disgregazione della propria identità sociale. Infatti, non solo si negano le capacità dell’anziano, quello che ancora potrebbe dare ed essere, ma si annulla anche il suo passato, non si riconoscono gli attributi che gli avevano conferito un certo prestigio sul piano dei rapporti con gli altri. E il futuro? Non esiste se non c’è qualcosa da aspettare, qualcuno da attendere e, purtroppo molto figli, convinti di aver lasciato il genitore in buone mani, finiscono per diradare le visite, limitandole alle feste ed occasioni deputate.

Privato del passato e del futuro: si può definire questa una condizione umana? Non stupisce, pertanto, la tendenza alla regressione in cui cadono gli ospiti delle Istituzioni, avviliti da un rapporto di totale dipendenza dalle figure professionali che li seguono, spesso senza il minimo di empatia, se non di affetto. L’anziano fragile non è solo una vicenda clinica: per questo le Case di Riposo, oltre ad offrire condizioni di vita accettabili, dovrebbero attivare dei canali di comunicazione con il mondo esterno, per dare una risposta ai bisogni esistenziali ed affettivi, altrimenti il trasferimento nelle Istituzioni significherebbe di fatto la condanna ad una morte sociale prematura.

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