Platone (428 – 347 a.C.), un filosofo senza tempo: dopo due millenni e mezzo ancora fondamento, con Aristotele, del pensiero occidentale.
Platone non ha scritto saggi o trattati: ha inventato il dialogo filosofico. Spesso Platone non espone teorie, ma per comunicare il suo pensiero costruisce miti. In lui filosofia e poesia sono strettamente congiunte, e questo forse è il motivo del suo fascino perenne. Il Simposio (o Convito) è il più famoso dei suoi dialoghi. Marsilio Ficino, traduttore in latino di tutti i dialoghi platonici, ritenne di dover volgere il Simposio anche in volgare, perché “quella salutare manna fosse comune a tutti”. Il Simposio non è proprio un dialogo: descrive un banchetto durante il quale ciascuno degli invitati tiene un discorso in onore del dio dell’amore, Eros appunto. Entriamo dunque con animo festoso nel grande banchetto d’amore che si tenne quasi 25 secoli fa.
Il banchetto è in onore del poeta tragico Agatone, per festeggiare la messa in scena della sua prima tragedia. Su proposta di Fedro, gli invitati faranno l’elogio di Eros, dio grande e potente ma trascurato dai poeti, nell’ordine in cui siedono. Comincia Fedro, letterato sensibile e intelligente: Eros è un dio molto antico; ciò che ispira gli uomini a vivere in modo bello e a provare vergogna per le cose brutte non sono né la parentela, né gli onori, né la ricchezza, ma solo l’amore; morire per l’altro solo gli amanti lo vogliono e lo fanno, e non soltanto gli uomini, ma anche le donne.
Interviene Pausania, storico e oratore “alla moda”, che spiega: «Come esiste Afrodite Urania (celeste) e Afrodite Pandemia (volgare), così c’è l’amore volgare, volto ad amare i corpi più che le anime; e si rivolge tanto verso le donne che verso i fanciulli. L’amore celeste invece, più elevato e spirituale, trascende quello corporale ed è rivolto solo ai fanciulli, perché è funzionale alla paideia, alla loro formazione: educa a cose nobili e virtuose.» E conclude: «É cosa bella concedere i propri favori all’amante, ma solo in vista della sapienza e della virtù.» Le idee di Pausania erano diffuse tra gli Ateniesi colti e di alto rango, al fine di giustificare eticamente la pederastia, del resto consentita in molte poleis greche.
Toccherebbe ad Aristofane, che però ha il singhiozzo, per cui parla Erissimaco, scienziato, medico-filosofo naturalista. Egli estende il raggio della forza di Eros dall’uomo alla natura: Eros come forza cosmica universale. É un dio grande e meraviglioso: il suo potere si estende sia sulle cose umane che su quelle divine; è in rapporto con la medicina, con la musica, con l’astronomia, con la mantica (divinazione). Riprendendo Eraclito, Erissimaco conclude che Eros è accordo e armonia dei contrari. Prende la parola Aristofane, famoso commediografo, e il suo discorso è il più poetico del Simposio. Aristofane inventa il mito degli uomini-palla: in origine gli uomini avevano forma sferica (quattro mani, quattro gambe, doppia faccia); i sessi erano tre (maschio, femmina, androgino, cioè partecipe del maschio e della femmina); così, in questa sua natura originaria, ciascun essere era autonomo. Ma Zeus decise di dividerli in due: da quel momento ogni metà cerca l’altra sua metà perduta e desidera fortemente unirsi a ciò che le era congenere. Gli amanti non lo sanno dire, ma ciò che cercano è l’originario intero.
Cos’è allora Eros? Ecco la stupenda risposta di Aristofane: «Eros, dio salvifico e risanatore, è il rimedio al male della divisione, è l’aspirazione a risanare l’originaria scissione diadica della natura umana.»
É il turno di Agatone, il giovane anfitrione, che si lancia in una esaltazione del dio: Eros fra gli dei è il più bello e il più giovane; è pieno di grazia, è morbido e delicato; è causa per gli altri, uomini e dei, di cose belle ed eccellenti; è padre della leggiadria e del desiderio.
Parla così bene il giovane letterato che tutti lo applaudono. Ultimo, toccherebbe a Socrate, il quale per un po’ tace perplesso. Alla fine dice:
«Presentare Eros in questo modo, amici, potrà andar bene per chi non lo conosce, non per chi lo conosce. L’elogio per me finisce qui, perché io non saprei farlo. Ma, se volete, alcune cose vere su Eros posso dirvele.» E (cosa strana e unica in Platone) non è lui Socrate a spiegare cosa in realtà sia Eros, riferisce invece ciò che gli ha insegnato una donna, Diotima, una sacerdotessa che lo ha educato alle cose d’amore. Contrariamente a quanto si crede ed è stato detto finora, Eros non è né bello né buono né eccellente perché, se queste qualità già le avesse, non farebbe di tutto, com’è nella sua natura, per cercarle e per possederle. Eros non è un dio: è un daimon, un demone potente, un essere intermedio che opera un congiungimento e un completamento tra l’umano e il divino. Diotima – continua Socrate – gli aveva raccontato il mito di Eros, concepito da Poros (ingegno, espediente) e Penía (povertà, mancanza) durante la festa che gli dei tennero per la nascita di Afrodite. Per cui, secondo la natura della madre, Eros è povero, privo di tutto, ruvido, senza dimora, ben lungi dall’essere morbido e bello; secondo la natura del padre, è abile cacciatore, elabora astuzie, ordisce inganni verso le cose “belle e buone”, di cui ha desiderio perché non le possiede; infine, in quanto generato in quell’occasione, è seguace di Afrodite e amante della bellezza. Ed è in continuo movimento: se trova una via di accesso (Poros significa anche passaggio), Eros vive e fiorisce, qualche tempo dopo invece muore, ma ecco che ritorna di nuovo in vita se riesce ad ottenere l’oggetto che ama e desidera. E, come non è bello ma amante del bello, così non è sapiente (sophos), bensì amante della sapienza (philo-sophos).
A questo punto – ricorda Socrate – egli pose alla sacerdotessa questa fondamentale domanda: «Ma Eros di che cosa è amore, cioè cosa amano coloro che amano?» La risposta fu: «Nient’altro che l’eterno possesso del Bene, perché “kalos kai agathos” [bello e buono] sono la stessa cosa.» Come si concilia allora tale desiderio, che Eros ci infonde, con la nostra mortalità? Risposta: Eros non è solo desiderio del Bello (e quindi del Bene), è anche desiderio di generare attraverso la bellezza dei corpi e delle anime. Eros è il grande daimon riparatore e guaritore, che aspira a porre rimedio, con la generazione, alla nostra mancanza più profonda: essere destinati alla morte. Eros è dunque un impulso all’eternità – attraverso la procreazione/creazione nel corpo o nello spirito – insito ontologicamente nella nostra natura mortale.
Ed è insieme – come aveva intuito Aristofane – superamento della scissione, aspirazione a fondersi nell’unità, a fare di due uno, fine ultimo a livello metafisico della filosofia platonica con l’idea di Bene, in cui tutte le Idee si riconoscono.