Le demenze comprendono un insieme di patologie che hanno un impatto enorme in termini sociali, sanitari e psicologici per le famiglie.
Non sempre la rete assistenziale risulta sufficiente a supplire le necessità e le scuole che formano i futuri professionisti, non sempre toccano in profondità determinate tematiche, lasciando poi al campo esperienziale l’operatore con i relativi rischi correlati.
Il progressivo invecchiamento della popolazione generale, sia nei Paesi occidentali che in quelli in via di sviluppo, fa ritenere queste patologie un problema sempre più rilevante sia in termini di sanità pubblica ma anche sociale.
Ad oggi il tentativo di rallentare e migliorare il decorso della malattia, è dato da due approcci che lavorano in parallelo ma che nel corso degli ultimi anni, visti i scarsi benefici dell’ambito farmacologico, sta divenendo sempre più preminente: Sto parlando infatti dell’approccio di tipo non farmacologico.
Nel campo delle demenze gli approcci di tipo non farmacologico sono ampissimi.
Il Modello Montessori per la Demenza (MMD), proposto dalla dr.ssa Anita Avoncelli nei suoi diversi articoli e nella pubblicazioni: “Intuizioni montessoriane per la demenza, una nuova visione di cura” e “Montessori abbraccia le demenze”, ha come caratteristica essenziale quella di costruire una relazione positiva tra la persona affetta da demenza, il suo ambiente e le persone che se prendono cura. Ciò da modo di ridurre lo stress spesso alla base di stati di agitazione, di aggressività o di disturbi del comportamento che possono caratterizzare questa condizione patologica nella persona affetta da demenza ma anche di burnout da parte dei diversi caregiver.
L’approccio proposto, partendo dal concetto di retrogenesi e sviluppato in una prospettiva sistemica, tiene conto degli aspetti relazionali e ambientali nello strutturare proposte di attività che vengono di volta in volta costruite per rispondere alle esigenze della persona assistita e del contesto che ruota attorno ad essa. Si tratta di una proposta che realizza il passaggio da una mentalità di sorveglianza/custodia ad una mentalità di cura attraverso la ridefinizione delle relazioni, dell’ambiente e delle proposte di vita quotidiana.
L’utilizzo del modello, specie quando condiviso il più possibile dai molteplici attori della rete, può realizzare una presa in carico coerente e continuativa a favore di un possibile recupero di alcune capacità (nelle fasi iniziali della patologia), di un mantenimento il più a lungo possibile delle abilità residue, di una riduzione delle contenzioni farmacologiche e strumentali, di una migliore vicinanza ed accoglienza dei malati e dei loro famigliari.
Come scrive la Dott.ssa Avoncelli “Se vogliamo vedere le demenze in modo diverso, dobbiamo imparare nuovi modi per trattare le persone”
riferimento: avoncellianita.it