Quando si parla di “Rifiuto del pasto” nell’anziano (istituzionalizzato o a domicilio, con decadimento neuro-cognitivo o performante che sia), è sempre necessario avere un’idea chiara e cristallina di dieci concetti fondamentali, che sono premessa del trattamento.
Molte volte mi vengono sottoposti casi, per i quali vi sono errori di fondo, che fanno capire come la consapevolezza del problema sia ancora qualcosa di criptico, incompleto, sottovalutato o troppo generalizzato.
Succede talvolta che l’evento sia segnalato dopo un grande periodo di digiuno; succede che il rifiuto in realtà non sia tale bensì parziale e legato alla soggettività del care-giver, o ancora che non vi sia una profonda valutazione dello stato della deglutizione ed eventualmente dementigeno.
Per tali ragioni, è indispensabile indagare le sfumature che seguono, contestualizzate alla sfera geriatrica.
Cosa si intende per “rifiutare” e cosa si intende per “pasto”
Il primo passo da compiere è una riflessione su cosa si intenda per “Rifiuto del pasto”. Innanzitutto, il termine “rifiutare” indica la “volontà di non fare” qualcosa, che in questo caso è riferita agli atti di mangiare e di bere.
Non è banale nè scontata come definizione: infatti, sarebbe scorretto riportare che un paziente rifiuti il feeding, se è:
– In uno stato soporoso, di coma o vegetativo:
Succede, nell’esperienza e nella pratica clinica, di ritrovarsi erroneamente la nota di rifiuto del pasto in un ospite che non sia risvegliabile. Capita addirittura di entrare in camera ed osservare la persona ben bardata, con pranzo ben presentato a disposizione, ma profondamente addormentato. Si intuisce come, in questi casi, l’anziano non stia nè accettando nè rifiutando il pasto, ma è semplicemente non vigile, condizione nella quale non può prendere una scelta, a prescindere da quale essa sia. Nei casi vegetativi e di coma, si ricorre alla nutrizione artificiale (enterale o parenterale che sia, sulla base della prognosi e della scelta sanitaria), ed essa può essere di supporto anche nei casi in cui il soggetto non si trovi in questi stati, ma abbia momenti di vigilanza molto rari e limitati nel corso della giornata (di conseguenza, anche assumendo il massimo delle calorie e dei liquidi concessi, non avrebbe fisicamente il tempo per coprire il suo fabbisogno).
– Appetente, ma non riesce a mantenere nè dunque a digerire quanto assume:
Possiamo avere le stesse evidenze e manifestazioni del digiuno in pazienti che in realtà assumono liquidi e calorie, ma che non riescono ad elaborarle nell’organismo. Nel caso in cui vi sia scarica diarroica che evacua quanto mangiato ancora intero, o emesi (vomito) che rigetta l’assunto. In questi casi, se i sintomi citati sono ostinati ed addirittura cronici, non avremo idratazione e/o calorie a sufficienza per la conservazione dello stato di salute e la sopravvivenza del paziente, con calo ponderale e rischio di side-effects (piaghe, stipsi, cachessia, sarcopenia eccetera), esattamente come se digiunasse. Tuttavia, è evidente che – salvo specifici casi di disturbi alimentari su base psicogena – il soggetto in realtà percepisce la fame e la sete ed asseconda questi stimoli, perciò tecnicamente non “rifiuta”. Anche in questi casi si ricorre a nutrizioni artificiali di supporto, ma di tipo parenterale.
– Limitato nell’autonomia e nella collaborazione:
Casi limite sono quelli nei quali il paziente rinuncia al compito senza avere i mezzi per alimentarsi ed idratarsi. Pensiamo ad esempio a casi sociali e condizioni di estrema povertà, cioè situazioni nelle quali la persona non dispone degli alimenti, e/o non riesce ad essere autonoma, come ad esempio se necessita di imbocco ma non c’è un care-giver a dedicare il giusto tempo alla somministrazione. Il rifiuto è qualcosa di opinabile come concetto, poichè è una scelta quasi costretta, la conseguenza di un problema ma non la causa del problema stesso. Con la corretta assistenza, infatti, non vi è il rischio di confondere la causa con l’effetto, e l’appetenza diventa esponenzialmente più reversibile.
Si ragioni ora, in conclusione a questo punto, su cosa si intenda per “pasto”, cioè cibo (in qualsiasi sua forma commestibile, che sia solida, liquida, viscosa, elaborata ecc.), idratazione (bibite, liquidi) e terapia.
Quest’ultimo aspetto di “pasto” non è assolutamente da sottovalutare, perchè può andare potenzialmente ad influire sulla sopravvivenza del paziente, nel momento in cui il piano farmacologico prescritto abbia ricadute significative sulla vita e sulla qualità della stessa.
Il secondo punto, invece, è quello troppo spesso sottovalutato: nell’immaginario collettivo, tende a darci molta più soddisfazione la somministrazione di cibo rispetto che ai liquidi. Anche quando si accudisce una piccola creatura, la prima cosa che viene da fare è quella di nutrirla, dimenticando il fatto che i liquidi rivestono un’importanza assolutamente maggiore, anche quando il nostro stesso cervello percepisce come prioritaria è più appagante la soddisfazione di mangiare, rispetto che quella nel bere. Garantire una sufficiente idratazione per vie naturali, nell’anziano, è qualcosa di molto difficile, ed il rifiuto dei liquidi ha di certo una ricaduta vitale sul paziente, perciò non trascurabile.
In sintesi:
Rifiutare il pasto significa comunicare, verbalmente o con il linguaggio del corpo, avversione e volontà di non assumere via bocca il cibo, i liquidi e/o la terapia.
Quali sono le principali cause di declino e di decesso del paziente anziano
Quando si parla di “morte” (che nella letteratura ha termine più scientifico e delicato in “decesso” o “esitus”) non è sempre chiara la riflessione che se ne fa attorno alla “causa” la cui conseguenza è, appunto, l’interruzione dell’esistenza.
Si immagini un essere umano, sano e senza eventi di stroke in atto, che perde la vita in un incidente stradale causato dall’impatto inatteso ed imprevedibile di un’altra vettura contro la propria: la causa immediatamente precedente all’esitus è l’arresto cardiocircolatorio e respiratorio, che di per sè è sempre premessa del decesso.
Tuttavia, se nel tragico momento il soggetto si fosse trovato a casa, molto probabilmente sarebbe ancora in vita. Ecco che la causa di decesso trova forma più completa e pragmatica in “Trauma da urto, secondario ad incidente stradale”.
Allo stesso modo, difficilmente sarà riportata come causa di decesso di un anziano inappetente il “Rifiuto prolungato del pasto”, bensì le sue conseguenze organiche, come ad esempio il calo di peso ponderale, la cachessia, la sarcopenia, la lesione da pressione o la sepsi partita dall’ulcera stessa. Il “motore” che conduce il paziente a queste evidenze, che si collocano in una zona di forte pericolo di esitus, è appunto il rifiuto del pasto, nel senso che, se il paziente avesse assunto sufficiente idratazione e nutrizione, molto probabilmente non si sarebbero palesate queste condizioni, o sarebbero comunque sopraggiunte ma in un momento più lontano.
Nel primo mondo, cioè quello che può permettersi un’assistenza all’anziano al punto da osservarne il decorso e crearne letteratura (Europa, America, Canada, Giappone ecc.) la prima causa di decesso nel decennio 2000-2010 fu riconducibile all’offesa alle vie respiratorie. Essa può conseguire da infezione – batterica, virale o fungina che sia – ma soprattutto da ab-ingestis, cioè da inalazione/penetrazione del bolo nei polmoni (una conseguenza della disfagia che sarà approfondita in seguito).
Nel decennio più recente, invece – cioè 2010-2020 – le cause rilevate con maggiore frequenza furono eterogenee, ma dal denominatore comune della malnutrizione per difetto: è per questa ragione che, empiricamente, il rifiuto del pasto ha sicuramente giocato un ruolo da attore principale fattore di rischio nella sopravvivenza del paziente anziano. Pericolosamente, senza un buon approccio riabilitativo, esso continuerà ad essere protagonista del declino del soggetto geriatrico.
In sintesi:
Le principali cause di decesso nell’anziano, ad oggi, sono riconducibili all’offesa delle vie respiratorie ed alla malnutrizione per difetto, che rispettivamente derivano, in primis (ma non solo), dalla disfagia e dal rifiuto del pasto.
Per quanto tempo è tollerabile il digiuno e dopo quanto è doveroso intervenire
In base a quanto detto nel punto precedente, si capisce come la tempestività sia la primissima chiave per affrontare il problema.
Quanto prima si interviene sul digiuno, quanto maggiore è la probabilità di rendere reversibile il problema e di raggiungere l’obietto di ristabilire un’appetenza tale da garantire un apporto sufficiente di liquidi e calorie giornalmente assunti.
Sono concesse 24 ore di completo digiuno, prima di intervenire con la valutazione delle cause – e dunque proposte di soluzione. Si intuisce come, in realtà, questo lasso di tempo sia scelto con grossa cognizione di prevenzione, infatti non è infrequente andare incontro a fasi acute di malessere o addirittura stroke, che giustifichino l’inappetenza.
Tale tempestività, tuttavia, è indispensabile per sensibilizzare al problema e “colpire” a maggior scala i casi che si riveleranno essere critici. Si immagini, ad esempio, se in una struttura residenziale geriatrica non si disponesse del pre-Test I.r.p.a.i. (che cita e spiega le 50 cause di rifiuto del pasto nell’anziano istituzionalizzato) e non vi fosse tempismo nella segnalazione delle avversità al cibo ed ai liquidi. Un paziente, ad esempio, potrebbe rifiutare portate ed idratazione per 3 giorni consecutivi, ciascuno dei quali ha tre turni di personale e turn-over; prima di percepire il rifiuto come un problema, in assenza di protocollo, potrebbero volerci tutte le 72 ore, tempo medio affinchè uno stesso sanitario osservi almeno due volte l’evento. Si riunisce dunque l’equipe, ma se fosse un fine settimana, è possibile che il tutto si rimandi al lunedì successivo: sono ormai passati 5 giorni. Ci si ritrova, dunque, tra i professionisti ed i medici, e si tenta un brain-storming che non necessariamente riporta tutte le cause (tra le quali, magari, quella o quelle specifiche del paziente in oggetto), e comunque non si dispone dei training studiati come più efficaci e vincenti. È ormai passata una settimana, ed il paziente è ormai in uno stato di grosso pericolo di vita o prossimo ad un ricovero, in seguito del quale dovrà riprendere da principio tutto l’iter descritto.
Si capisce come, invece, l’intervento immediato con chiarezza del metodo, della scala di valutazione e dei percorsi realisticamente da seguire, garantisca una possibilità di successo abnorme, molto più probabile rispetto all’aridità intellettuale del caso, riportata nel primo esempio.
L’invito, dunque, è quello di essere sempre tempestivi e fin troppo critici, quando si manifestano segnali di avversità al pasto nel paziente anziano, investendo la maggior parte delle proprie energie sin da principio, nella consapevolezza che quanto in atto possa rappresentare, potenzialmente e come argomentato nel capitolo precedente, una tra le primissime cause di decesso nel soggetto senile.
In sintesi:
Nell’anziano, a prescindere che egli sia ospedalizzato o meno, e/o con demenza, il digiuno di bibite, cibi o entrambi va considerato un comportamento a rischio vitale dopo le prime 24 dall’evidenza di non voler assumere i nutrimenti via bocca. L’intervento (oltre alla fleboclisi nel caso di scarsi liquidi accettati) prevede immediatamente l’applicazione del pre-Test I.r.p.a.i.
Quali sono le possibili cause di malnutrizione per difetto nell’anziano
La malnutrizione può derivare da cause indipendenti dalla volontà di alimentarsi del paziente o che si manifestano col rifiuto del pasto; mentre per le prime le strategie di risoluzione e compensazione del problema sono intuibili, per le seconde non è sempre facile avere a disposizione delle procedure di intervento efficaci e tempestive.
LE 9 CAUSE DI MALNUTRIZIONE AVULSE DAL RIFIUTO DEL PASTO:
Un ospite può sviluppare malnutrizione per cause indipendenti dalla sua volontà di mangiare o meno: infatti quanto assume nel pasto sino alla sazietà può essere insufficiente poiché patologie e terapie in corso causano un dimagrimento repentino o il mancato assorbimento dei nutrienti, oppure perché la sua (in)capacità motoria lo rende afagico, o per poca assistenza in quadro di limitata autonomia, o ancora poiché uno stato di assopimento molto importante nel tempo non gli permette la vigilanza sufficiente per consumare le pietanze.
Da quanto raccolto nella letteratura scientifica, le cause di malnutrizione avulse da un rifiuto sono elencabili suddivise in quelle conseguenti a deficit di assorbimento, a disturbi neuro-motori, ad integrità delle strutture ed al livello di assistenza:
Patologie oncologiche o degenerative degli apparati
Tumori e malattie degenerative possono richiedere un apporto nutrizionale maggiore e contemporaneamente ridurre l’appetenza del paziente.
Disfunzioni e rimozioni organiche
La disfunzione degli organi che prendono parte alla digestione (o la loro rimozione come nella gastrectomia) compromette il corretto assorbimento dei nutrienti, con conseguente riduzione del quantitativo calorico.
Interazioni farmaco/nutrienti
Anche alcuni farmaci possono ridurre se non addirittura inibire l’assorbimento di specifici nutrienti.
Diarrea e vomito cronici
Possono rappresentare l’espulsione di materiale alimentare non digerito oppure stimolare secrezioni da espellere, con malassorbimento e debilitazione.
Stroke, esiti di intervento e/o patologie che rendono grave l’aspetto morfo-fisiologico dell’apparato motorio
Questi eventi possono portare a carenza nell’autonomia, compensabile nell’assistenza, ma soprattutto a disfagia importante poiché il paziente necessita di attenta valutazione e riabilitazione per avere una prognosi reale del recupero e del pericolo di soffocamento. Quest’ultimi quadri si riferiscono soprattutto ad immobilità o demolizione di parte dell’apparato P.f.a.
Assopimento come reazione a farmaci
Effetti collaterali di alcuni farmaci o eccesso di dosaggio degli stessi (soprattutto, nell’anziano, quelli che servono ad intervenire su agitazione e disturbo comportamentale) possono causare assopimento, vale a dire riduzione della vigilanza. In questi casi, l’ospite non si alimenterà poiché incapace di mantenere l’attenzione; l’alimentazione stessa può essere pericolosa ed inficiata nella disfagia.
Stadio avanzato di demenza o di patologie neuro/motorio degenerative o stato vegetativo
L’assenza di vigilanza non permette l’alimentazione per OS. Lo stesso vale per gli stadi finali di alcune patologie degenerative che portano a rigidità importante delle strutture deglutitorie (es. Parkinson, Corea…).
Frequenti prelievi, digiuni per esami
La malnutrizione può derivare dalla perdita di nutrienti legata a prelievi o a digiuni forzati per esami clinici che lo richiedano, se essi hanno una frequenza estremamente elevata e debilitante.
Mancata assistenza o malnutrizione preesistente all’ingresso
La malnutrizione può essere osservata come un quadro già esistente all’ingresso dell’ospite, dunque per cause sconosciute o riconducibili a mancanza di interventi precedenti al contesto dell’RSA. Laddove poi l’autonomia sia molto ridotta, l’alimentazione deve essere dilazionata (es. gastrectomizzati) e/o se i tempi del pasto siano lunghi, la carenza dell’assistenza può portare ad una quantità insufficiente di introito alimentare.
Le 50 cause ad oggi individuate di rifiuto del pasto nell’anziano (istituzionalizzato o meno, che vive con demenze o perfromante dal punto di vista neuro-motorio-cognitivo) potenzialmente riabilitabili
Il rifiuto del cibo nell’anziano istituzionalizzato può essere conseguenza o manifestazione di svariati eventi.
In questo studio sono state individuate cinquanta cause, sviluppata di questionario e manuale di ipotesi di trattamento (qui naturalmente non riportato per lunghezza della trattazione).
Le cause che inducono al rifiuto del cibo o che si manifestano in tale evento per quanto riguarda l’anziano istituzionalizzato, sono rivolte a soli pazienti digiunanti con tratti di vigilanza. Non sarebbe lecito, per quanto spiegato nei paragrafi precedenti, definire “rifiutanti il pasto” quei soggetti in stato vegetativo, di coma e stuporoso, o che accettano il cibo ma il cui assorbimento è inficiato da cause patologiche, iatrogene o di aspetto morfologico.
L’anziano, dunque, può rifiutare il pasto poiché:
- Beve ma non mangia oppure mangia ma non beve
L’anziano può rifiutare “parzialmente” il pasto, accettando i liquidi ma non il cibo o viceversa. - Mangia meno con l’avanzare dell’età
La senilità porta di per sé all’inappetenza ed allo squilibrio del quadro organico (esempi di scompensi che riducono la fame sono carenza di zinco e riduzione della increzione degli ormoni elaborati dal corticosurrene). - Presenta senso di sazietà e di pienezza più rapido
A causa dell’età, del tempo maggiore di digestione o del digiuno che riduce il volume dello stomaco, l’anziano può sentirsi sazio pur non avendo assunto un apporto calorico sufficiente. - Vengono a mancare quella “fatica” e quel movimento che “fanno fame”
L’ospite non è appetente poiché si riduce il suo movimento ed il consumo fisico. - Presenta difficoltà a percepire l’appetito
L’ospite non è mai stato un “mangione”: ha uno storico nel quale non è stato abituato a sforzarsi di consumare una giusta porzione di cibo, tendendo al dimagrimento ed al difetto nelle quantità in modo “innato”, per cause non conseguenti ad aspetti senili. - Non accetta la struttura e la condizione di istituzionalizzato
L’ospite può non accettare sé stesso nella propria condizione di necessaria assistenza. Può rifiutare il pasto come forma di provocazione e di protesta, ma anche come conseguenza di mortificazione e perdita di autostima, nonché di sentirsi “prigioniero” in un luogo ed in un presupposto sociosanitario ad egli non congeniale. - Ha sfiducia verso l’operatore (soprattutto se l’anziano presenta ipovisus)
L’anziano può non sentirsi a proprio agio nell’essere accudito, soprattutto se ipovedente e dunque meno cosciente delle modalità di contatto e dello svolgimento delle azioni del care-giver verso sé; può sviluppare rifiuto all’imbocco, qualora non autonomo, se quel momento non gli risultasse completamente sereno. - Rifiuta il cibo come riflesso di disapprovazioni partite dai care-givers
L’ospite può diventare un transfert dei propri cari, e se essi dimostrano sfiducia, rabbia, tristezza o quant’altro verso la struttura comunitaria, e queste emozioni possono riflettersi sul suo comportamento. - I tempi del pasto sono insufficienti rispetto alle necessità
Come detto, laddove si richieda più tempo per il consumo del pasto e l’assistenza non sia sufficiente a sopperire al problema, l’ospite può rifiutare il pasto per un senso di sconfitta, di mancanza di autostima o di protesta. - Gli orari dei pasti sono ravvicinati o dilatati, e non fisiologici (es. digestione del feeding precedente ancora in corso)
Nelle realtà comunitarie geriatriche, possono consolidarsi con facilità abitudini scorrette e/o disfunzionali, quali un enorme lasso di tempo tra la cena e la colazione (es. 17:30 vs. 9:30), ed altresì una vicinanza eccessiva tra la stessa ed il pranzo (es. 9:30 vs 11:30). È dunque evidente la conseguenza di una fame intensa la mattina, che ovviamente non si ripete nel pasto successivo, poiché non solo non sono trascorse le tre ore fisiologiche di digestione – comunque insufficienti per l’anziano, che può avere un metabolismo rallentato – ma il paziente stesso, affaticandosi poco per definizione in Rsa, ha meno probabilità di sviluppare appetito. Il circolo vizioso può ripetersi anche per la merenda, nei confronti della cena. - La temperatura del pasto è inavvertitamente inadeguata (scotta, è gelida o, in entrambi i casi, mina mucose sensibili)
Una causa di rifiuto del pasto negli ospiti che non verbalizzano, può derivare dall’involontaria somministrazione di un pasto bollente o gelido, che viene naturalmente disprezzato dal paziente anche solo attraverso i suoi riflessi o segnali vegetativi. - Il pasto si raffredda, perdendo gradevolezza
Non è infrequente che la dispensa del pasto possa prevedere un tempo eccessivo tra l’impiattamento e l’imbocco o la presentazione (se il paziente è autonomo) di un cibo gradevole solo se caldo. La conseguenza è che il soggetto che riceve un piatto raffreddato o intiepidito possa ritenerlo sgradevole, ricordando oltretutto che collosità e consistenza possono modificarsi e diventare insolite quando il cibo non rispetta le caratteristiche termiche della sua dispensa (ad esempio può incollarsi nei pezzi, creare patine dense, cambiare il colore). - Riporta di percepire odore e/o avere visione sgradevole durante il pasto
L’anziano può non sentirsi a proprio agio nell’ambiente comunitario e sviluppare inappetenza per stimoli sgradevoli; quando essi sono percepiti in sala da pranzo, penalizzano in modo importante l’accettazione ed il consumo di quanto proposto. - La dieta è monotona
La mancanza di una buona presentazione e la varietà dei cibi può essere causa di rifiuto degli stessi. - Presenta disabilità sensoriale olfattiva/gustativa: sente meno i sapori
L’incapacità di sentire i sapori va ad inficiare il piacere del pasto. - Presenta limitazioni alimentari sanitarie: diabete, allergie, diarrea in trattamento, diverticoli ecc.
Le limitazioni alimentari legate al trattamento di una patologia o di un disturbo possono rendere il pasto meno saporito o escludere pietanze giudicate importanti e particolarmente piacevoli per l’ospite, che potrebbe percepire il cibo insipido o sviluppare rifiuto come provocazione. - La protesi dentale è incongruente o è edentule e la consistenza non gli è masticabile
Il rifiuto può derivare dalla difficoltà o addirittura dall’incapacità di masticare i cibi, cosa che può mortificare e portare all’“arresa” verso il consumo del pasto. - Il sapore e/o la consistenza del cibo sono variate e ritenute sgradevoli
L’ospite può non gradire le pietanze, abituato magari nel vissuto ad altri sapori, oppure quando sia stata necessaria una variazione nella consistenza di liquidi/solidi, essa può essergli spiacevole se non addirittura indurre al rifiuto come provocazione. - Masticazione e deglutizione richiedono sforzo fisico, è pigro e/o ha ridotte autonomie
Seppur rispettando i tempi, la fatica fisica nelle prassie e negli atti della fase orale possono creare un rinforzo negativo nei confronti del cibo, riducendone piacere ed edonismo. - Presenta dolore durante la masticazione, deglutizione e/o la digestione
Causa di rifiuto verso il pasto può derivare da un dolore che compare direttamente nell’atto alimentare, dunque durante la masticazione (coinvolgendo il cavo orale), deglutizione (vie P.f.a. alte) e digestione. - Presenta dolore distale (piaghe da decubito altre sofferenze ecc.)
Anche un dolore di un altro tessuto avulso dal ruolo dell’alimentazione è causa di distrazione ed inappetenza, poiché viene percepito come un disagio più urgente da risolvere rispetto alla fame. - E’ affetto da cronicizzazione di disagi organici (stipsi, nausea, diarrea, infezioni ecc.)
La sensazione di schiacciamento di intestino, diaframma e stomaco può derivare dalla stipsi che rende le viscere piene; anche la cronicizzazione di malesseri possono portare ad un rifiuto “aprioristico” del pasto. - Patologie respiratorie (es. Bpco) rendono l’apnea della deglutizione impegnativa da recuperare a livello di ossigenazione, con sforzo incredibile e rinuncio al compito
Condizioni patologiche e/o croniche a livello respiratorio possono condurre ad un grosso sforzo fisico di alimentarsi, dato dal paziente, secondario all’apnea della deglutizione che può essere a sua volta rallentata, dilatata ed imporre tempi di recupero impegnativi (sovrapponibili, nel paziente sano, ad un’immersione subacquea di qualche secondo tra una deglutizione e la successiva). Tale chiave di lettura fa intuire che la stanchezza, la frustrazione e soprattutto il bisogno primario di respirare, inducano il paziente a rinunciare al compito di nutrirsi, rifiutando il cibo. - Presenta una compromissione/compressione di organi (ulcere, aria, masse ecc.)
Una sensazione di schiacciamento e di malessere che ingannevolmente dà un senso di sazietà può derivare anche dalla compromissione degli organi digerenti a causa di infiammazioni, meteorismo e neoformazioni. - Ha sensazione di schiacciamento/incoordinazione a causa della contenzione
La contenzione fisica può creare uno schiacciamento sull’addome (intestino, diaframma, stomaco) creando l’illusione di una pienezza, sino a diventare un vero e proprio ostacolo alla digestione. - Presenta deficit comunicativi (afasia, disfonia, disartria, disabilità uditiva)
L’incapacità a comunicare i propri bisogni, oltre che mortificante, può essere causa diretta di inappetenza o secondaria all’impossibilità di comunicare un disagio - Ha una postura scomoda che lo tormenta o distrae dall’atto di mangiare
Un ausilio scomodo o una posizione disturbante per il soggetto può indurlo a rinunciare al compito. - Ipotetici effetti collaterali di terapia farmacologica (es. assopimento)
Il trattamento farmacologico può causare un cambiamento nei comportamenti dell’ospite, che potrebbe diventare incapace ad alimentarsi per fatica o assopimento anche rinunciando al compito, oppure far emergere un rifiuto legato a scompenso sul piano cognitivo. - E’ soggetto a disorientamento all’alzata per bassa pressione arteriosa o vertigine posizionale parossistica
Se immediatamente prima del pasto sia necessario un passaggio posturale, possono comparire vertigini e disorientamento di varia natura (spaziale o di incoordinazione motoria), compromettendo la serenità dell’ospite. - Specifico side-effects di alterazione delle mucose orali e/o esofago, nel disfagico, per terapia controindicatamente tritata
Non tutti i farmaci possono essere triturati, e la scorretta manipolazione degli stessi (il cui elenco è riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed anche dal Ministero della Salute) può portare ad alterazioni. Tra queste, si cita l’assorbimento anomalo, l’incremento degli effetti collaterali e la lesione delle mucose orali ed esofagee. Le conseguenze possono manifestarsi nel rifiuto del cibo, secondariamente ad escoriazioni dei tessuti stomatologici e gastrici, anomalie metaboliche, sulla veglia e sull’umore. - Presenta disturbi di orientamento legati al cambiamento ed all’ambiente
Il disorientamento spaziale può portare l’anziano a perdersi e confondersi: una struttura comunitaria (non solo immediatamente dopo l’ingresso) è un ambiente estraneo, e l’ospite può sentirsi a disagio durante il consumo del pasto, evitandolo o interrompendolo, poichè non riconosce il nuovo setting come domestico. - Presenta disturbi gravi di orientamento temporale
L’anziano con disorientamento temporale importante può “vivere in un tempo passato”, rifiutando il cibo per fornirlo ad ipotetici figli ancora piccoli. Anche la bambola della “Doll Therapy” può essere confusa per essi. - Non riconoscere il cibo come sostentamento a causa della demenza (es. ci gioca)
L’ospite può dimenticare la funzione del cibo come sostentamento a causa di decadimento cognitivo, e la perdita di memoria a breve termine può fargli perdere il compito durante l’atto stesso di mangiare, o fargli dimenticare se abbia mangiato o meno e da quanto tempo si perpetui un digiuno. - Confonde il giorno per la notte
L’alterazione del ritmo sonno-veglia, nel paziente con decadimento cognitivo, può portare a non essere performante nei momenti in cui tradizionalmente è dispensato il pasto, apparentemente rifiutandolo. - Dimentica il bolo in bocca a causa della demenza
La perdita di memoria a breve termine può anche far dimenticare al paziente di avere un bolo in bocca appena dopo averlo introdotto, comportando un apparente rifiuto (conseguenze possono essere il rigetto o la passività). - Presenta allucinazioni che lo disturbano (persecuzione, sente corpi in bocca ecc.)
L’anziano, durante il pasto, può essere affetto da allucinazioni (che possono coinvolgere tutti 5 i sensi, secondariamente a disturbo cognitivo, psichiatrico e/o iatrogeno) e dunque risultare distratto ed inappetente. Un particolare delirio può fargli credere che il cibo sia avvelenato e nocivo, creando un rifiuto molto marcato. - Presenta regressione puerile: rifiuta per dispetto o come schema infantile
Il deterioramento cognitivo può far emergere schemi di rifiuto simili al comportamento infantile. - Presenta stimolo costante di andare in bagno ma non possiede l’autonomia per farlo
La sensazione di dover scaricare (evacuazione o minzione), reale o secondaria ad un momento di scompenso cognitivo legato magari ad una base dementigena, distrae sicuramente dalla fame, poiché il problema viene naturalmente percepito come un bisogno più importante. - Digiuna di liquidi e/o cibo, per la consapevolezza di non poter andare in bagno in autonomia ed il timore di non appagare un’eventuale urgenza (es. di minzione)
Il paziente con buona performance cognitiva può rifiutare il pasto, nella consapevolezza che non riuscirà ad appagare gli stimoli fisiologici che ne conseguono (minzione ed evacuazione), per mancanza di autonomia e pudore nel richiedere aiuto, e/o rinforzo negativo dato da episodi di attesa nell’essere accompagnato in bagno. - Presenta wandering, ha difficoltà a rimanere fermo durante il pasto
La necessità di perpetrare il moto continuo ed afinalistico di un demente con wandering è primario rispetto alla fame e rende difficile la staticità e la concentrazione richiesta nell’assunzione del pasto, che può essere rifiutato. - Presenta paura di soffocamento dopo un episodio di rinforzo negativo
In seguito ad un episodio di aspirazione o penetrazione del bolo nelle vie aeree, l’ospite può spaventarsi (della sensazione provata e dal malessere che può farvi seguito, come apnea, febbre e tosse) e rifiutare il pasto per il timore che la cosa possa ripetersi. - Ha tristezza per la perdita della casa e variano ritmi ed abitudini consolidate in essa
Il malumore generato dall’abbandono della propria dimora può causare inappetenza ed apatia verso il piacere di alimentarsi, sino a giungere alla depressione. Anche la variazione dei propri ritmi ed abitudini, la diminuzione di attività e la variazione degli orari nei quali l’ospite è solito consumare il cibo, possono essere causa di rifiuto. - Ha perso autostima: è mortificato nell’essere imboccato
L’ospite può non accettare la riduzione delle proprie autonomie, sentirsi abbattuto ed umiliato sino a voler evitare tramite opposizione e passività le situazioni nelle quali percepisce maggiormente questa sensazione. - Si vergogna per l’incapacità di condurre un pasto da sé considerato “dignitoso”
Una causa di rifiuto del pasto, in pazienti con conservata capacità di ragionamento, può derivare da un’immagine di sè non accettata nella nuova dimensione della senilità, nella quale il pasto può essere cremoso e la persona può avere bisogno di aiuto nell’imbocco e nell’essere pulita. - Depressione ed eventi stressanti con conseguente comportamento di apatia verso il piacere del pasto
Aspetti della depressione sono l’apatia e la perdita del piacere, anche inerentemente all’alimentazione. La depressione può essere anche transitoria poichè fase fisiologica del lutto di vario tipo, non solo conseguente alla morte di un caro. Infine, alcuni altri eventi stressanti sinora non citati possono causare inappetenza. - Sceglie di “rifiutare la vita”, vuole accelerare la dipartita
Anche se lessicalmente non sarebbe corretto parlare di “suicidio” o “eutanasia”, il rifiuto del pasto può essere per l’ospite una scelta consapevole per decidere di morire. - Si riscontra pregressa o attuale anoressia nervosa o malattia psichiatrica
La malnutrizione per rifiuto del pasto può essere dettata da alcuni disturbi non prima citati di natura psichiatrica o di anoressia nervosa, nei quali (non riconducili alla demenza) l’ospite ha paura di ingrassare e di apparire “imperfetto”. Solitamente questo comportamento ha uno storico e riemerge dopo esser già comparso nel vissuto della persona in oggetto. - Presenta astinenza da farmaco o pregressa dipendenza da sostanze psicotrope ed alcol
Sostanze come topiramato, anfetamine, exenatide, metilfenidato e metanfetamina riducono l’appetito sia durante il loro consumo che in fase di astinenza. Gli stessi segni di astinenza si possono trovare per stimolanti come caffè, nicotina e cocaina, nonché durante la disintossicazione da qualsiasi forma di dipendenza (alcool in primis). Il cibo, infine, può risultare poco appagante nella riduzione del consumo di terapie farmacologiche legate ad alcuni antidepressivi o chiaramente dopo la sospensione improvvisa di essenze che aumentano l’appetito - E’ affetto da “Nodo in gola” o vomito per disfagia esofagea di tipo psicogeno
La disfagia esofagea nell’anziano, se non secondaria ad ostruzioni meccaniche, patologia in corso degli organi digerenti o reazione iatrogena, può essere paragonata ad una vera e propria forma di bulimia ed è stata definita in alcuni articoli italiani nel 2017 come “inspiegabile”, verosimilmente di base psicogena. - Porta PEG/SNG ma non riesce ad assimilare quanto introdotto nello stomaco
La nutrizione artificiale che giunge alle vie digerenti bypassando l’apparato P.f.a. può non essere assimilata per varie ragioni legate spesso al mezzo enterale o allo stato dell’organo che lo riceve. In realtà sono osservabili delle forme di rigetto simili alla bulimia senza cause esplicite, che possono essere ricondotte a stato ansiogeno similmente alla disfagia esofagea di tipo psicogeno descritta in precedenza. - Causa per esclusione: impoverimento neuronale che coinvolge i centri nervosi della fame, rendendo l’atto inutile ed annullando l’appetito
La demenza porta all’impoverimento neuronale. È considerabile l’eventualità di una lesione dei centri nervosi del piacere, senza riorganizzazione corticale né plasticità, il che renderebbe l’atto di mangiare e bere come inutile, senza alcuno stimolo di appetito né memoria/ragionamento sul fatto che tale inappetenza conduce ad esitus.