IL TRATTAMENTO DEL LUTTO IN TERAPIA RELAZIONALE – a cura della dott. Sonia Di Caro, Catania
!!!!!!! I progressi della medicina prolungano di fatto la vita ma non riescono certo a eliminare la sua fine. Argomento delicato sul piano umano che noi della Redazione spesso abbiamo cercato di ” non affrontare ” perché disturbante. Ma senza una fine che senso avrebbe tutta la vita vissuta, una storia senza un finale ? E’ proprio la morte che dà alla vita il senso del suo valore.
Rimane il dolore dei parenti e degli amici ma ci si può fare aiutare

Il lutto è il processo di elaborazione del dolore e di tutte le reazioni, fisiche, psicologiche ed emotive, vissute per la perdita di una persona significativa con la quale si era stabilito precedentemente un sentimento di attaccamento affettivo. L’elaborazione del lutto è dunque un processo di adattamento alla separazione e tale processo richiede tempi adeguati, rituali di commiato, necessari per suggellare il distacco, e processi psicologici complessi. Il processo di adattamento alla perdita richiede un tempo adeguato (dagli 8 ai 12 mesi) e la presenza dei rituali, religiosi o no, che consentano di formalizzare il distacco.

Tutti gli autori che si sono occupati del lutto hanno individuato quattro fasi distinte, necessarie per portare a compimento l’elaborazione. La prima fase è quella dello stordimento, dello shock, dell’incredulità. La persona è come inebetita, bloccata, incapace di accettare la notizia, vive una condizione di ottundimento interrotta spesso da scoppi d’ira o di dolore. La seconda fase è quella dello struggimento: gradualmente la persona comincia a rendersi conto della perdita e si manifestano profondo senso di disorientamento, angoscia, insonnia, rimuginamenti, con una alternanza di stati d’animo che vanno dall’accettazione della perdita all’impossibilità di crederci. Solo quando si è accettata la perdita, la collera scompare e lascia spazio alla tristezza con l’accesso alla terza fase, quella della disperazione e della disorganizzazione. La maggior parte dei processi di adattamento si bloccano in questa fase quando la persona, per qualche ragione, non riesce a dar voce al dolore che, in questo modo, rimarrà incistato dentro. L’elaborazione del lutto avrà un esito positivo solo se la persona colpita riuscirà a dare libero sfogo alle proprie sensazioni e a dare pienamente voce alla propria sofferenza e al proprio dolore trovando conforto negli altri e sperimentando la possibilità di condivisione delle proprie emozioni. L’ultima fase è quella della riorganizzazione che è determinata dalla graduale accettazione della perdita. La persona si lascia alle spalle l’angoscia, riprende la propria progettualità e manifesta nuovamente la capacità di reinvestire nel futuro. La persona scomparsa verrà così “ricollocata” emozionalmente nel mondo interno di chi è sopravvissuto. Ricordo e nostalgia si stabilizzeranno in una dimensione interna positiva e funzionale prendendo il posto delle manifestazioni esterne del lutto, come la disperazione e il pianto. Sarà adesso possibile portare dentro di sé un’immagine della persona cara per preservarne il ricordo, un’immagine che rappresenterà quello che Bowlby ha definito “un rifugio di serena nostalgia”.

Le fasi di elaborazione del lutto variano per durata ed intensità in relazione ad alcuni fattori. Tra i fattori più significativi che incidono sul lutto, che possono ritardarlo o impedirne la risoluzione ci sono fattori personali (persone introverse o inibite, con difficoltà ad esprimere e a vivere i propri sentimenti e le proprie emozioni oppure che vivevano difficoltà nella relazione con la persona scomparsa); fattori familiari (la complessità della storia familiare, legami affettivi intrafamiliari deboli o disgregati, l’esperienza di lutti ripetuti all’interno della famiglia, l’esistenza di antecedenti situazioni di sofferenza familiare quali maltrattamenti, depressione, patologie psichiatriche, somatiche o psicologiche presenti in altri componenti della famiglia); fattori correlati alla natura della morte (se la morte è prematura o inaspettata il processo di adattamento sarà più difficile); fattori socio-culturali (la presenza o meno di una rete amicale, sociale e di supporto che possa sostenere la famiglia in lutto).

Molti sintomi hanno origine in un lutto mal elaborato. Le patologie del lutto sono sostanzialmente due: il lutto complicato (se la persona ha difficoltà a vivere la sofferenza implicita nella perdita, se ha delle “questioni irrisolte” con la persona che non c’è più, se la famiglia e gli amici non riescono a sostenere il suo dolore, allora il lutto si complicherà; un lutto complicato è un lutto che avrà delle implicazioni significative nell’equilibrio psicologico della persona fino alla manifestazione di malattie psicosomatiche e avrà ripercussioni negative sulle sue strategie di coping alle future perdite) e la mancata elaborazione del lutto (le ritualità permettono il processo di adattamento successivo alla elaborazione del dolore, accompagnando fino all’accettazione della perdita).

Disturbi del comportamento, atteggiamenti conflittuali, sintomi depressivi e autodistruttivi, violenza, contenuti deliranti, disturbi relazionali di coppia: non c’è manifestazione di sofferenza ed espressione psicopatologica che si sottragga alla trasmissione interpersonale e intergenerazionale e che non si possa ricostruire a partire dalle storie di lutti non elaborati.

In psicoterapia relazionale, si individuano le condizioni necessarie per un intervento là dove il passo del tempo e le normali risorse di una famiglia non sono bastate per produrre nei suoi membri una normale elaborazione del lutto in un processo temporale di uno – due anni. I compiti della terapia in casi di lutto irrisolto sono i seguenti: offerta di ascolto; consentire ai familiari di riconoscere la realtà della morte e di confrontarsi con le reazioni individuali di tutti, facilitandone la comunicazione; accettare l’esperienza della perdita e confermare il senso di appartenenza e condivisione che, a sua volta, contribuisce alla riorganizzazione del sistema familiare; rendere possibile la condivisione della sofferenza contrastandone la privatizzazione affinché da sofferenza per se stessi, chiusa, si tramuti cioè in memoria e ricordo, confrontabile e trasmissibile e non dolore muto e solitario; ampliare l’apertura del sistema familiare aiutando a bilanciare l’attenzione alla morte con quella per la speranza e la vita; incoraggiare la comunicazione franca e diretta dei vissuti dolorosi sollecitando l’accesso alle risorse della famiglia allargata e della comunità; ristabilire un contatto profondo con le proprie emozioni.

Il terapeuta relazionale deve usare sé stesso per riparare il danno, come professionista ma anche come persona, in una posizione ravvicinata e fortemente empatica, impegnandosi, ove necessario, anche a livello emotivo, garantendo la presenza dell’elemento più importante in stanza di terapia che è la condivisione del dolore, bloccando la tendenza alla privatizzazione, perché condividere il dolore non cambia la morte, ma può consentire di ritrovare le risorse per vivere, condividere il dolore consente di trovare consolazione e di far circolare le emozioni all’interno delle relazioni più significative.

La tematica del lutto in terapia è una tematica sempre particolarmente difficile da affrontare per diverse ragioni: la quota emozionale in stanza di terapia è molto alta e non risultano in alcun modo utili le razionalizzazioni, il terapeuta può sentirsi bloccato dalla impossibilità di provocare sollievo ad una famiglia che ha perso in maniera imprevista e traumatica un proprio congiunto o deve fare i conti con i propri lutti, infine l’ascolto della sofferenza, da solo, non basta. Il terapeuta deve dunque essere ben formato al fine di poter lavorare con un individuo, una coppia o una famiglia che abbiano subito una perdita e che a lui fanno una richiesta di aiuto. Egli dovrà conoscere gli aspetti teorici sull’argomento e gli strumenti che possono aiutare a raggiungere l’obiettivo di una sana elaborazione del lutto e la possibilità di ricominciare con il proprio progetto di vita, ma dovrà soprattutto riuscire a mettersi in gioco come persona svolgendo questo lavoro con il cuore caldo e la mente fredda.

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