“Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale ed ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”. Amo citare Montale per descrivere con un’immagine ciò che provano ogni giorno i familiari di persone con demenza. Solitudine, paura di cadere, nessun appiglio a cui aggrapparsi.
Caregiver è il termine utilizzato per indicare chi si prende cura. Ma chi sono i caregiver? Mogli, mariti, figli e nipoti, che un giorno si sono ritrovati a dover accudire chi prima accudiva loro: il proprio compagno di vita, il proprio genitore, qualcuno che prima donava, e ora toglie.
Nel mio lavoro come psicologa ricercatrice incontro ogni giorno decine di caregiver, che si recano presso il Centro Demenze, ricevono una diagnosi, e tornano a casa soli e smarriti.
La demenza non ha conseguenze solo su chi ne soffre, ma impatta le famiglie sul piano economico, fisico, sociale e psicologico. Secondo un rapporto CENSIS e AIMA del 2016 i familiari che non ricorrono all’assistenza di una badante dedicano mediamente cinque ore al giorno all’assistenza diretta del paziente e quasi undici alla sorveglianza. Queste ore vengono sottratte al lavoro, alle amicizie, alle attività ricreative, riducendo la vita del caregiver all’assistenza dell’ammalato, che diventa molto spesso il centro attorno al quale tutto ruota.
Sogni infranti, piani abbandonati, per amore di qualcuno che non c’è più, che è diventato inaffidabile, che ha cambiato personalità, che non li riconosce più.
E così, a me arrivano tante famiglie con le loro storie, tutte diverse, ma tutte uguali. C’è Anna, che deve occuparsi delle finanze della famiglia perché il marito non è più in grado di farlo, ma deve agire di nascosto per non farlo arrabbiare. C’è Luisa, che una mattina è andata a prendere suo padre a casa per portarlo a fare terapia ed è stata scambiata per una venditrice porta a porta. C’è Michele, che ama ancora sua moglie come il primo giorno, benché lei non sappia più cucinare i suoi piatti preferiti, ritrovare la strada di casa, trovare le parole per esprimersi. In tutte queste persone vedo la stessa paura di cadere nel vuoto, lo stesso dolore per la perdita di qualcuno che c’è ancora, ma non c’è più.
Il sistema assistenziale nazionale è ancora carente nei confronti delle demenze, e quasi nullo nei confronti dei caregiver. Così, la ASL di Pescara e l’Università D’Annunzio di Chieti hanno deciso di unire le loro forze per realizzare dei progetti di supporto alle famiglie. Tramite il Fondo Nazionale per L’Alzheimer e le demenze sono stati coinvolti, nel 2023, dei professionisti che forniranno assistenza sociale e psicologica ai familiari degli utenti del Centro Demenze territoriale. Dalla passione di un gruppo di dipendenti nasce, invece, il progetto Caffè Alzheimer, che sarà realizzato da professionisti del settore a titolo volontario, grazie al supporto dell’Associazione Alzheimer Uniti Abruzzo e del Rotary Club Vestini Penne-Loreto. I Caffè Alzheimer nascono nel 1997 da un’idea di Bère Miesen, medico olandese, che ha voluto realizzare dei luoghi sicuri dove le persone con demenza, i loro familiari e i professionisti della cura potessero incontrarsi in modo informale, in un’atmosfera accogliente, per ascoltare ed essere ascoltati. Rappresentano un modo per creare una rete sociale, combattere l’isolamento, spezzare la routine assistenziale e trovare supporto per i problemi quotidiani.
A partire da giugno 2023, sul territorio provinciale di Pescara, saranno organizzati una serie di incontri, a cadenza mensile, in cui ci sarà spazio sia per le persone con demenza, che saranno occupate in attività ricreative e di stimolazione cognitiva con dei professionisti, sia per i caregiver che potranno confrontarsi con gli altri familiari e con medici, psicologici, terapisti occupazionali, infermieri, discutendo attorno ad un tema ogni volta diverso, alla ricerca di strategie per la gestione delle difficoltà assistenziali.