Le porte vengono chiuse, il fischio del capostazione, un lento movimento che ti fa sedere più comodamente per non cadere e il treno parte: è il momento di chiudere la porta
scorrevole che separa lo scompartimento dal corridoio. Ogni viaggiatore ha scelto una delle sei poltrone a disposizione dopo aver posizionato i propri bagagli sulla retina posta sopra la testa. Non eravamo ancora nell’era dominata dalla digitalizzazione, dagli sguardi fissi sugli smartphone e dalle orecchie tappate dagli auricolari per cui o si contemplava noiosamente il vuoto oppure chi ti sedeva a fianco o di fronte immancabilmente dopo le prime parole sull’orario di partenza o sulle previsioni atmosferiche si presentava e ci si conosceva.
Ciascuno, dopo la presentazione, spontaneamente oltre a confidare i motivi del viaggio raccontava esperienze della propria vita. Fatti che nessuno aveva chiesto di raccontare.
Una persona che pochi minuti prima era un perfetto sconosciuto diventava quasi un confidente con il quale non si vedeva l’ora di raccontarsi.
Lo scrittore Guy de Maupassant affermava che “ Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno “ Sembra singolare
anche il fatto che i più importanti scrittori russi abbiano scelto, come location per i loro romanzi, il treno e di come questo spazio di conversazione che è lo scompartimento possa rivelare alcuni risvolti psicologici dei vari personaggi. Inoltre il treno fornisce l’occasione di ammirare senza alcun problema il paesaggio che scorre davanti al finestrino, un mondo che cambia ogni cento metri