Incontro Spinoza nelle vicinanze di L’Aia, dove si era infine stabilito nella sua vita di esilio
e di emarginazione dopo il terribile cherem (cioè “scomunica e maledizione”) scagliato
contro di lui dai rabbini della sinagoga di Amsterdam, dove morì nel 1677 a soli 45 anni,
per una malattia polmonare a lungo scambiata per tubercolosi. Non è stato difficile:
Spinoza era aperto e disponibile con chiunque volesse conoscere lui e le sue idee.
Entro nella sua bottega di molatore di lenti, oggi diremmo di ottico, per cui era conosciuto
e apprezzato in Olanda, prima ancora che si affermasse la sua tardiva fama di filosofo. Mi
viene subito da tossire per il pulviscolo vitreo che impregna l’aria, e capisco quale deve
essere stata la vera causa della sua morte. Non so dirvi come riusciamo a capirci anche se
non parlo nessuna delle numerose lingue che Spinoza conosceva (portoghese, la sua lingua
materna, spagnolo, olandese, ebraico, francese, latino, greco meno bene).
Sono molto contento di poter parlare con lui, non solo perchè ammiro (e in parte
condivido) la sua filosofia, ma soprattutto perchè considero la sua personalità morale un
esempio di umanità. Lo ringrazio per la sua disponibilità e mi viene subito di chiedergli:
«Mi scusi, ma dopo la sua espulsione dalla comunità ebraica di Amsterdam, questa attività
di artigiano che lei ha scelto per sopravvivere era proprio l’unica soluzione? Nessuno
pensò di aiutarla?»
«In realtà non fui lasciato solo, nonostante il cherem vietasse ad ogni ebreo di avere
rapporti con me. Addirittura un caro amico e discepolo mi voleva regalare 2000 fiorini, ne
accettai 300 per farlo contento. Inoltre l’università di Heidelberg, forse ero meno ignoto
fuori d’Olanda, mi rese disponibile una cattedra. Ci pensai, ma alla fine rifiutai l’offerta
della prestigiosa università tedesca, perchè temevo di perdere la mia indipendenza di
pensiero.»
«Posso capire Heidelberg, ma perchè rifiutare doni da amici?»
Intervista a Spinoza – di Carlo Dellabella
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