La longevità può essere una risorsa? Si se…… – di Mauro Cauzer, psicoterapeuta

La longevità non significa soltanto un allungamento della durata della vita dovuta a una
favorevole interazione tra fattori genetici ed ambientali, ma anche e soprattutto un miglioramento
della qualità di questa vita più lunga. Sicuramente uno stile di vita sano costituito da
un’alimentazione equilibrata e varia, da una attività fisica regolare, dall’astensione da fumo, alcol,
droghe, da scarsa presenza di stress, ritarda l’invecchiamento e contribuisce a raggiungere la
longevità e sappiamo bene come il benessere fisico concorra in modo determinante al
mantenimento del benessere psichico.
Ma se è vera l’affermazione che si invecchia come si è vissuto, allora sarebbe importante fare
un’opera di prevenzione, a partire dalla mezza età, per creare una rete protettiva all’individuo
avviato verso la senescenza perché è nel corso della vita produttiva che l’uomo deve
programmare la sua esistenza da persona anziana. Si tratta di una programmazione anticipata del
proprio futuro sulla quale svolgono una funzione importante numerosi fattori come gli interessi
verso attività extraprofessionali, l’ampiezza della rete dei rapporti sociali e interpersonali, un
investimento più estensivo sull’utilizzo del tempo libero, un arricchimento delle motivazioni sul
perché si vive.
A livello individuale bisognerebbe mantenere intatti gli interessi personali, impegnarsi in attività
mentali che stimolino le capacità cognitive attraverso esercizi di memoria e di apprendimento. Si
possono trovare nuove occupazioni soddisfacenti in famiglia o all’esterno, svolgere lavori
manuali, lavori creativi mai fatti prima per mancanza di tempo come dipingere o scrivere.
Insomma può risultare utile qualsiasi cosa che dia una soddisfazione soggettiva, lasciandosi
andare al puro piacere esente da fini produttivistici e da sensi del dovere.
È generalmente riconosciuto come l’invecchiamento comporti una riduzione progressiva nelle
funzioni sensoriali, motorie e cognitive variabili nel ritmo e nell’intensità da individuo a
individuo. Meno noto è invece che accanto a questa riduzione rimangano integre alcune capacità
“globali e di sintesi” che consentono, in svariati casi, la conservazione di un elevato livello
percettivo-cognitivo.
Probabilmente allo scopo di compensare la ridotta efficienza dei processi di natura periferica, per
un fenomeno di vicarianza, diventa prevalente l’attività dei processi psicofisici di natura centrale.
Per esempio, per le funzioni più strettamente cognitive, ad una riduzione dell’ampiezza dei
processi disponibili, a volte corrisponde una accentuazione dell’efficienza dei processi rimasti
integri: in altri termini la minore rapidità di elaborazione cognitiva o di acuità sensoriale non
comporta necessariamente una diminuzione dell’efficacia delle performance perché c’è stato un
ulteriore sviluppo di strategie residue vicarianti.
Questi aspetti di vicarianza nelle modificazioni psichiche legate all’invecchiamento possono
essere ricollegati alla dinamica della “ plasticità cerebrale” sulla quale concordano la maggior
parte degli orientamenti recenti sia genetici, sia neurochimici, sia neurofisiologici. Oltre alla
dinamica della plasticità cerebrale, un altro fattore che può limitare il deficit senile è il
mantenimento dell’investimento affettivo, considerato come una matrice di pensiero.
Per quanto riguarda la memoria, siamo a conoscenza che le acquisizioni più recenti sono le prime
a scomparire, per cui l’anziano cerca di attaccarsi ai suoi ricordi affettivi antichi per conservare un
senso di continuità esistenziale e di identità di pensiero.
Questa operazione di ripresa del passato, di ritorno al trascorso, oltre al significato compensatorio
di rivivere nel passato ciò che sembra di non poter essere vissuto nel presente, si dimostra un
mezzo difensivo per trasformare la realtà degli anni andati in uno spazio per le illusioni, spazio
prima occupato dalle speranze sul futuro, dunque uno spazio illusionale di cui l’essere umano ha
sempre bisogno.
In una persona anziana che sente l’impossibilità di proiettarsi nel futuro e di fare progetti a lungo
termine, la vita passata si ripresenta astoricamente ed acriticamente, facendo crollare ogni
scansione temporale. Così quest’anziano si trova immerso in un mondo a cui manca la
dimensione del tempo perché passato, presente e futuro si sovrappongono e riportano ad una
monotona quotidianità tutta la variabilità di una vita intera. Compare allora la ripetitività e la
piatta fissità di comportamenti ed espressioni di tipo ipocondriaco e somatoforme quasi che la

fatica del vivere venga meglio comunicata con richieste di aiuto dirette più al corpo che alla
mente.
Ma come abbiamo già sottolineato, si incomincia a invecchiare agli occhi degli altri e poi, poco
alla volta, si arriva a condividerne il giudizio, ma gli anziani devono attivare un tempo soggettivo
(Kairòs deve contrapporsi a Kronos che trascorre inesorabilmente) e devono percepire il loro
valore personale. È inevitabile che, nei diversi stadi della vita, l’individuo debba abbandonare
quell’immagine di sé che si era costruito precedentemente e debba crearsene un’altra, elaborando
il lutto rispetto a quelle parti di sé che ritiene di aver perso.
Soltanto se l’anziano riuscirà a riconoscere e a superare l’imposizione sociale e culturale che
qualsiasi suo progetto è inutile, egli potrà ritrovare un nuovo investimento emotivo sul mondo e
sulle relazioni interpersonali e considerarsi una persona che sente e che desidera ancora qualcosa.
Anche il corpo potrà allora assumere nuovamente il significato di essere un testimone simbolico
di un tempo vissuto, un contenitore di tutte le esperienze, emozioni ed affetti connessi al tempo
impiegato dall’evolversi di un processo di sviluppo.
In questo caso anche il guardare al passato, interrogandosi sul percorso compiuto, con
l’intenzione di fare il bilancio della propria esistenza può risultare utile per rivedere o integrare i
propri conflitti irrisolti, riformulare e accettare parti di sé negate fino a questo momento.
Così il periodo della vecchiaia diventa il tempo in cui è possibile ritrovare tutto, in cui è possibile
godere del patrimonio esperienziale acquisito. È la fase della vita in cui l’individuo può smettere
di essere ossessionato per il tempo che sta passando ed imparare a vivere pienamente il tempo nel
quale egli è, in cui può possedere il senso del presente e la capacità di vivere l’hic et nunc:
importante è che avvenga un’accettazione del fatto che parti di sé, relative a ciò che si era un
tempo o che si sperava di poter essere, non sono più realizzabili.
Tramite l’elaborazione del lutto per un’immagine di se che è cambiata, per tutte quelle speranze
ed aspirazioni che sono rimaste insoddisfatte, per i sentimenti riguardanti le perdite subite,
aumenta la capacità di affrontare la realtà così com’è e si attua una sorta di liberazione dal passato
e da ciò che non si può ottenere. Il passato diventa effettivamente passato, distinto dal presente e
dal futuro. Possono nascere così nuovi interessi, nuove attività e sublimazioni. L’età stessa
potrebbe suscitare nuove risorse e capacità che non erano disponibili negli stadi di vita precedenti.
Ci potrebbe essere più saggezza, più libertà, più onestà verso se stessi.
Il segreto dell’esistenza consiste nell’alimentare continuamente le forze della vitalità, della
creatività e della progettazione contro le spinte distruttive dell’inerzia, del disfacimento e
dell’angoscia.
La vecchiaia può diventare così un’esperienza intensa e varia, qualcosa da portare con orgoglio,
una specie di vittoria pur nella sconfitta di un corpo che si deteriora.

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