L’ambiente, il cibo e lo stile di vita, i farmaci e le mine vaganti nella prevenzione della fragilità e delle demenze – del dott. Ferdinando Schiavo, “neurologo dei vecchi”

Nello scenario attuale dominato dall’invecchiamento della popolazione mondiale e nel caso specifico di quella italiana, le malattie neurodegenerative stanno assumendo, tra le patologie emergenti, una forte rilevanza sanitaria, sociale, assistenziale, economica. L’età avanzata appare di gran lunga il più importante fattore di rischio per la fragilità e per le diverse patologie delle persone anziane, in particolare le demenze e alcune manifestazioni spesso correlate, come i parkinsonismi e gli episodi confusionali (delirium), frequenti, debilitanti e a volte mortali, tuttavia spesso colpevolmente sottovalutati.

In assenza di terapie farmacologiche sostanzialmente efficaci a modificare il decorso della demenza, gli studi scientifici hanno confermato nel tempo la possibilità di evitare attraverso la prevenzione, o forse solamente allontanare magari di decenni, tale dramma personale, familiare, sociale e la conseguente dipendenza dagli altri. Una vecchiaia più sana e autonoma può, quindi, dipendere responsabilmente da noi e dallo stile di vita che desideriamo praticare.

Nel luglio del 2017 una commissione internazionale voluta dalla prestigiosa rivista medica The Lancet ha identificato in tutto nove fattori di rischio per ridurne i casi di demenza, Alzheimer compreso, di oltre un terzo (circa 35%). Gill Livingston ed altri 23 esperti internazionali hanno ufficialmente aggiunto due “nuovi” fattori di rischio per le demenze,cioé la sordità e l’isolamento sociale (la chiamo la solitudine amara per separarla dalla benefica beata solitudo), al preesistente elenco, noto dal 2011, che ne segnalava sette: da quel momento, diabete mellito, ipertensione arteriosa in età adulta, obesità in età adulta, fumo, depressione, bassa scolarità e sedentarietà hanno due nuovi compagni di sventura!

Nel 2020 lo stesso team ha aggiunto all’elenco l’abuso di alcol, i traumi cranici e l’inquinamento atmosferico, ma diversi e numerosi fattori di rischio sono destinati ad entrare prepotentemente nell’elenco: i disturbi del sonno (le carenze di sonno e le apnee notturne in particolare), il delirium stesso, le alterazioni severe della vista, numerose condizioni internistiche e la stessa fragilità, peraltro in grado di “affrettare” anche il decorso di un quadro di demenza.

Tuttavia, l’idea che alcune categorie di farmaci, usati in maniera non appropriata, possano rientrare tra i fattori di rischio modificabili per la fragilità e per la demenza, non è ancora riuscita a emergere in maniera chiara, lapidaria e convincente. Ed é qui che subentra il mio personale e pluridecennale impegno, la mia “ossessione per un uso corretto dei farmaci, soprattutto ad una certa età”, quella che è peraltro segnata da un aumento progressivo della loro prescrizione a mano a mano che gli anni passano.

Molto sinteticamente, tra i farmaci che possono rappresentare nuovi fattori di rischio di demenza sono segnalate unicamente le benzodiazepine (Valium, EN, Tavor, Minias ecc. per intenderci, usate a lungo) dimenticando purtroppo la presenza ingombrante di almeno altre tre categorie, quelle che ho chiamato Mine Vaganti: su queste, da neurologo di strada, da onesto artigiano della neurologia dei vecchi, combatto una antica battaglia.

Si tratta dei tanti medicinali ad azione anticolinergica, ovvero “contro l’acetil-colina”, un neurotrasmettitore fondamentale coinvolto in svariate ed essenziali funzioni in tutto il corpo e, a livello cerebrale, nei processi cognitivi, con la memoria al primo posto. Tra questi si annidano, alcuni usatissimi e insospettabili: Buscopan e i numerosi antispastici, Laroxyl, Anafranil, Paroxetina ed altri antidepressivi, Codeina, Akineton, Tremaril, persino Lasix e Lanoxin, altri ancora.

Ci sono poi quelli che agiscono “contro” i recettori di un altro neurotrasmettitore, la dopamina: oltre al pluridecorato Serenase\Haldol, sono in campo Geffer\Plasil, Levopraid, nomi accattivanti come Mutabon mite, Deanxit, Dominans che sembrano consegnare serenità e invece possono provocare parkinsonismo, distonie, la temibile (e sconosciuta a molti) acatisia ed altri malefici effetti motori e non motori.

Infine, esistono farmaci che “allungano” il QT cardiaco con possibili esiti infausti sul cuore.

Temi tristi, insopportabili per chi vuol vivere tranquillo e inconsapevole e invece deve affidarsi fiducioso nelle mani pur sapienti dei medici e dei farmacisti.

La mia provocazione contro una procedura che ritengo ipocrita: siamo sicuri che TUTTI i medici e i farmacisti, come recitano i “bugiardini” di qualsiasi farmaco sollecitando a rivolgersi a queste figure professionale in caso di evento avverso, siano in grado di comprendere, ad esempio, che una distonia acuta del collo e dei muscoli facciali possa dipendere da poche bustine di Geffer inghiottite per evitare il mal di stomaco (come recita una campagna video pubblicitaria recente che sto combattendo da due anni)? O che la nonna, solitamente vivace e svelta nelle sue faccende, adesso sembri mummificata nel movimento, nella postura, nella mimica facciale dopo qualche settimana con questo o altri farmaci con il medesimo effetto? Oppure che la stessa nonnina si sia svegliata confusa, disorientata dopo qualche giorno di terapia col Buscopan?

Emerge, dunque, uno spiacevole panorama complessivo in cui non solamente la politerapia (i cinque farmaci o più che un anziano può facilmente assumere), ma anche una sola terapia, un unico farmaco, possano scatenare reazioni avverse, imprevedibili allo sguardo del profano, del cittadino.

A questo punto ritengo che la figura del neurologo esperto possa assumere, deve necessariamente assumere, i tratti e le competenze del geriatra, ovvero dello specialista della “complessità”. Come prima mossa suggerisco l’accrescimento delle essenziali conoscenze neurologiche considerato che nella popolazione risultano assai lacunose, come è stato dimostrato attraverso un sondaggio dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) nel settembre 2022 e confermato dai dati dell’OMS ancora più recenti sulla netta prevalenza di malattie neurologiche invalidanti nel mondo. Appare necessario estendere le conoscenze alle Mine Vaganti, ovvero a quelle categorie di farmaci che con vari meccanismi possono creare problemi cerebrali e persino cardiaci, che rappresenta il (complicato) passo successivo.

Ognuno di noi, in conclusione, può agire responsabilmente sulla propria salute per giungere ad una longevità sana e autonoma attraverso delle scelte consapevoli.

Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: ” ma così tu fai diventare medico un tuo paziente! ”

Proprio così dovrà dirti, se tu sei diventato un bravo medico!

Così affermava Ippocrate ribadendo la necessità di un adeguato e costruttivo rapporto di informazione fra medico e paziente (da Paideia. La formazione dell’uomo greco di Werner Jaeger). Forse è un progetto folle, una sfida ambiziosa, ma l’informazione (la formazione) del paziente e dei suoi familiari mi affascina, e da anni cerco di estenderla a chi ha la responsabilità professionale della cura, in qualsiasi ruolo operi, medico curante, infermiere, OSS o semplice badante.

E’ l’incipit del libro MALATI PER FORZA ed- Maggioli 2014 del dott. Ferdinando Schiavo

…..Chi sa si salva e salva i propri cari!

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