… non mi inviti a Stoccolma.
Non poteva sapere che proprio nella capitale svedese sarebbe morto, probabilmente per una polmonite causatagli dai rigori del clima. É stata fatta anche l’ipotesi di un avvelenamento. Tuttavia, prima di accettare il fatale invito della regina Cristina, Cartesio riuscì a scrivere il suo ultimo trattato, che si intitola appunto Les passions de l’âme, pubblicato assieme alle Lettere sulla morale di cui qui si parla.
«Torniamo al cogito – continuai. Nelle Obiezioni che le sono state mosse, Hobbes ha posto l’accento sul passaggio non chiarito dal cogito all’anima e ha avanzato la possibilità, da lei non contemplata, che fondamento del pensare (cioè subiectum mentis) fosse qualcosa di corporeo. Forse saprà, visto che sembra sapere tutto, che
questo problema oggi è oggetto di studio nelle neuroscienze.»
Cartesio: «Alle cosiddette Obiezioni credo di aver risposto ad abundantiam. Le obiezioni di quell’inglese, poi, sono così poco fondate che rispondere a lungo mi sarebbe sembrato valorizzarle. Quanto alle neuroscienze infine, mi risulta che nei convegni di quegli scienziati aleggia ancora il dualismo cartesiano mente-corpo.»
Non chiedetemi come facesse a saperlo, ma era vero.
Mi accorgevo di procedere, con le domande, senza ordine logico, ma avevo perso il foglietto. Per cui andai avanti come mi veniva: «La sua fisica – nel Mondo – appare come una fisica a priori, che si fonda su principi razionali e mette in secondo piano le verifiche sperimentali.»
«É facile rispondere. Einstein parlava di Prinziptheorie, dove i principi fondamentali non sono ricavabili dall’esperienza. Più o meno quello che ho scritto io. Ma a parte questo, lei dimentica che con la mia fisica – assieme ad altri, d’accordo – io fondo la concezione meccanica del mondo sulla base di leggi universali, prima di tutte quel principio d’inerzia che Leonardo aveva intuito, Galileo stabilito nella meccanica, ed io estendo a tutti i fenomeni fisici.»
- Aveva un po’ ragione.