…Aveva un po’ ragione.
Mentre riflettevo su come continuare, notai una cosa. Il grand’uomo dava segni di insofferenza, come stesse guardando l’orologio, che naturalmente non aveva. Poi mi accorsi che su un tavolo in fondo alla sala era posata una clessidra. Si era premunito, era quella che guardava. La sabbia era ormai quasi tutta sul fondo. Avevo poco tempo e mi stavo innervosendo. Passai confusamente in rassegna che cosa potevo ancora chiedergli o rinfacciargli. Rimproverargli tutti gli errori commessi circa il funzionamento del corpo umano? A partire dalla pretesa di confutare Harvey, il quale aveva compreso correttamente che il cuore è un muscolo e non un “fuoco senza luce” come immaginava Cartesio? L’idea che i polmoni avessero sul sangue un’azione refrigerante e che i nervi fossero tubicini percorsi da misteriosi spiriti animali, o altre stupidaggini medioevali? Non sarebbe stato generoso. Mi venne anche il dubbio che avrebbe potuto prendersela. L’uomo era permaloso.
Optai per qualcosa di più leggero. E dissi: «Com’è la storia dei Rosacroce, davvero era affiliato alla Confraternita?»
«Vi siete appigliati a quella frase della mia autobiografia, “larvatus prodeo”: entro in scena portando una maschera. É un po’ poco. Potrebbe voler dire tante altre cose, come potrebbe voler dire quello che pensate. É vero, in Germania i Rosacroce li ho cercati, tanto che quando feci ritorno a Parigi il soggiorno tedesco mi aveva procurato la fama di adepto.»
«Insomma, sì o no?
«Scusi, ho detto che non mi presento come sono, che non intendo rivelare tutto me stesso. Dovrei togliermi la maschera proprio davanti a lei?»
Non faceva una piega. Ma un’ultima stoccata dovevo dargliela.