NUOVI SPIRAGLI PER LA TERAPIA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

Anche in Italia c’è la possibilità di disporre di un farmaco in grado di rallentare la progressione della malattia di Alzheimer, il Lecanemab un anticorpo monoclonale che agisce sui depositi di beta amiloide, di cui diamo ampia notizia nell’articolo sottostante.

L’Associazione Italiana di Psicogeriatria mette però in evidenza delle criticità quali la somministrazione limitata a un ristretto numero di pazienti con disturbo cognitivo iniziale dovuto a malattia di Alzheimer e sull’efficacia che rallenta l’evoluzione ma non è in grado di bloccare il progressivo declino. La terapia e il monitoraggio dei pazienti sono molto costosi.

Inoltre molto probabilmente gli anziani sopra i 70 anni circa non saranno idonei al trattamento. In definitiva l’AIP auspica una riflessione e una discussione attenta sull’immissione in commercio di questo farmaco.

Di seguito riportiamo da Univadis from Medscape una recensione su Lecanebab

Lecanemab per i pazienti affetti da Alzheimer, la svolta europea

  • Dr. med. Thomas Krone

  • Uniflash

  • 18/11/2024

Lecanemab, un anticorpo contro la malattia di Alzheimer sarà con ogni probabilità presto disponibile in Europa. Il “Comitato per i medicinali per uso umano” (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha raccomandato l’autorizzazione dell’anticorpo (nome commerciale Leqembi) dopo una raccomandazione negativa del luglio di quest’anno. La decisione finale della Commissione europea è ancora in sospeso, ma in genere è solo un atto formale.

“Una grande opportunità” per le persone colpite

Molti neuroscienziati e ricercatori sul morbo di Alzheimer accolgono con favore la decisione. “Sono assolutamente felice. Questa è stata finalmente la decisione giusta!”, dice per esempio Christian Haass, ricercatore sull’Alzheimer con sede a Monaco, sul quotidiano tedesco “Die Zeit”. Anche la Società Neurologica Tedesca, che si è più volte espressa a favore dell’approvazione dell’anticorpo, è soddisfatta. Peter Berlit, Segretario Generale, spiega: “Le persone colpite attendono urgentemente un’opzione terapeutica e per coloro per i quali questo trattamento rappresenta un’opzione, si tratta di una grande opportunità. Stiamo parlando di sei mesi guadagnati con una buona qualità di vita. Riteniamo che, dopo aver valutato congiuntamente il profilo rischio-beneficio individuale, alle persone colpite non debba essere negato l’accesso a questa terapia e siamo lieti della raccomandazione positiva”.

Più benefici che rischi per alcuni pazienti

Il CHMP giustifica la nuova raccomandazione con i risultati di una nuova analisi dei dati dello studio, che era limitato ai pazienti con al massimo una copia del gene ApoE4, responsabile del rischio di Alzheimer. Inoltre, sono ora disponibili i primi “dati reali” sul trattamento con l’anticorpo.

L’autorizzazione dell’anticorpo è raccomandata per il trattamento di pazienti con decadimento cognitivo lieve (disturbi della memoria e del pensiero) o demenza lieve dovuta alla malattia di Alzheimer in fase iniziale. La raccomandazione è limitata ai pazienti affetti da Alzheimer con al massimo una copia del gene di rischio ApoE4. I pazienti con due copie (omozigoti) non dovrebbero ricevere l’anticorpo, nonostante il rischio relativamente più elevato di malattia. Il motivo è che hanno anche un rischio maggiore di anomalie di imaging legate all’amiloide (ARIA; ARIA-E si riferisce all’edema cerebrale e ARIA-H alle emorragie).

Sicurezza maggiore nella popolazione selezionata

Nel luglio 2024, il CHMP aveva emesso un parere negativo sulla base di un’analisi dei dati relativi a una popolazione di tutti i pazienti con malattia di Alzheimer precoce (compresi i pazienti con due copie di ApoE4). I risultati della nuova analisi hanno mostrato che il tasso di ARIA-E (edema) con lecanemab nei pazienti che avevano al massimo una copia di ApoE4 era dell’8,9%; nella popolazione totale, invece, questa percentuale era del 12,6%; la differenza era significativa anche nel tasso di emorragie (ARIA-H) con il 12,9% (popolazione ristretta) rispetto al 16,9% (popolazione totale). Tra i pazienti trattati con placebo, ARIA-E e ARIA-H si sono verificate rispettivamente nell’1,3% e nel 6,8%.

Sintomi ritardati in media di cinque mesi

Secondo il CHMP, il beneficio dell’anticorpo nella popolazione ristretta corrisponde a quello osservato nella popolazione più ampia. Per la nuova analisi, Eisai, la casa produttrice, ha presentato un’analisi di sottogruppo dei dati dello studio principale, che comprendeva 1521 pazienti con una o nessuna copia di ApoE4 su un totale di 1795 pazienti. La principale misura dell’efficacia è stata la variazione dei sintomi cognitivi e funzionali dopo 18 mesi, misurata con una scala di valutazione della demenza (CDR-SB). La scala va da 0 a 18, con punteggi più alti che indicano una maggiore compromissione.

Dopo 18 mesi di trattamento, i pazienti trattati con lecanemab hanno mostrato un aumento minore del punteggio CDR-SB rispetto ai pazienti con placebo (1,22 rispetto a 1,75), indicando un declino cognitivo più lento. In particolare, i pazienti trattati con l’anticorpo hanno manifestato i sintomi della malattia in media cinque mesi dopo rispetto ai pazienti trattati con placebo. Secondo Peter Berlit, c’è la speranza che, con una durata di assunzione di 36 mesi, sia possibile addirittura guadagnare 12 mesi di vita senza restrizioni.

Secondo il CHMP, i pazienti affetti da Alzheimer devono sottoporsi a una risonanza magnetica per monitorare le alterazioni all’imaging (ARIA) prima di iniziare il trattamento e prima della quinta, settima e quattordicesima dose dell’anticorpo. Ulteriori risonanze magnetiche possono essere richieste in qualsiasi momento durante il trattamento se si manifestano i sintomi di ARIA (per esempio, mal di testa, confusione, disturbi visivi, vertigini, nausea e difficoltà di deambulazione). I pazienti dovranno probabilmente continuare il trattamento per il resto della loro vita, poiché i sintomi potrebbero aggravarsi nuovamente dopo la sospensione.

I primi dati sulla terapia quotidiana

Esistono ora anche “dati reali” sulla terapia con l’anticorpo, secondo i quali la sicurezza nell’assistenza quotidiana non è inferiore a quella degli studi clinici. Secondo quanto riportato da Madolyn Bowman Rogers sul sito web statunitense “Alzforum “, sono stati recentemente presentati a Madrid, alla conferenza “Clinical Trials on Alzheimer’s Disease“, i dati relativi a 162 pazienti (età media 73 anni) della Columbia University (New York City). Secondo Lawrence Honig, coordinatore dello studio, questi pazienti (per il 60% con diagnosi di decadimento cognitivo lieve) hanno ricevuto una media di 13 infusioni di lecanemab per paziente. Il 44% dei pazienti esaminati era eterozigote per APOE4 e il 14% omozigote.

Il tasso di ARIA-E è stato dell’11%, che corrisponde all’incirca al tasso dello studio Clarity. L’edema cerebrale era generalmente lieve e asintomatico. Una persona ha interrotto il trattamento a causa di ARIA-E, due a causa di ARIA-H.

Non è l’inizio della fine della demenza

Questo anticorpo è adatto solo per alcuni pazienti di Alzheimer in fase iniziale della malattia. Secondo Matthias Brendel (dell’LMU di Monaco), specialista in medicina nucleare e malattie neurodegenerative, l’azienda produttrice prevede di trattare solo l’1% dei casi prevalenti di Alzheimer (compresi quelli non ancora diagnosticati). Secondo altre stime riportate da “Die Zeit” arrivano al 6,4%, mentre lo scenario ottimistico ipotizza fino al 16%. Secondo il quotidiano tedesco, solo in Germania potrebbero beneficiare della terapia con anticorpi da 50.000 a 800.000 persone.

Va inoltre ricordato che la demenza di Alzheimer è solo una delle diverse malattie dementigene. Non è ancora chiaro se l’anticorpo antiamiloide sia utile anche contro la demenza frontotemporale e la demenza a corpi di Lewy, oltre che contro altre malattie associate alla demenza.

E poi c’è la questione dei costi: la terapia costa poco più di 26.000 dollari all’anno negli Stati Uniti. A ciò si aggiungono i costi per i test genetici, per diversi esami di risonanza magnetica e per le consultazioni mediche. Non si tratta di una spesa contenuta, sebbene rispetto ai costi di alcune terapie antitumorali non è esorbitante. Se un ritardo di qualche mese nella comparsa dei sintomi valga il prezzo è, ovviamente, oggetto di discussione.

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