PREMI OSCAR 2023 – di Allan Viezzoli, critico cinematografico

La sera del 12 marzo 2023, ora di Los Angeles – anche se per noi qui in Italia erano già le
prime ore del 13 marzo – si è tenuta la 95a cerimonia di premiazione dei premi Oscar.
Condotta da Jimmy Kimmel, la serata ha visto assegnare premi in 23 diverse categorie
davanti a un pubblico formato dai più importanti attori di Hollywood.
A fare da cosiddetto “asso pigliatutto” dell’intera cerimonia è stato Everything Everywhere
All at Once, il film di Daniel Kwan e Daniel Scheinert che ha vinto 7 Oscar su 11
nomination. In particolare ha ottenuto le statuette per miglior film, miglior regia, miglior
sceneggiatura e tre interpretazioni attoriali. È la prima volta nella storia degli Oscar che un
film riceve questi sei premi tutti assieme: infatti prima d’ora ben cinque film hanno vinto
film, regia, sceneggiatura e due interpretazioni attoriali mentre soltanto Un tram che si
chiama Desiderio nel 1952 prima d’ora aveva portato alla vittoria tre attori ma non aveva
vinto né film né regia né sceneggiatura.
Al di là dei pareri personali riguardo Everything Everywhere All at Once, è interessante
rilevare la vittoria di questo film a discapito di film più classici come The Fabelmans di
Steven Spielberg o più popolari come Avatar – La via dell’acqua. È curioso infatti che
l’Academy sia andata a premiare un film statunitense dal punto di vista della produzione
ma profondamente asiatico dal punto di vista della storia, della messa in scena e degli
interpreti. E questo a discapito di due film – Elvis di Baz Luhrmann e Top Gun: Maverick
di Joseph Kosinski – che fanno del “made in USA” il loro segno distintivo, il primo
proponendo su grande schermo l’icona statunitense per eccellenza e l’altro presentando
uno stile tipicamente americaneggiante, con i militari che risolvono i conflitti (potenziali,
nel caso specifico, ma poco importa) in giro per il mondo.
Tale fatto si può rilevare già da alcuni anni osservando la categoria “miglior regia” dove
nell’ultimo decennio la tendenza è stata quella di premiare quasi sempre registi non
statunitensi: Michel Hazanavicius con The Artist nel 2012; Ang Lee con Vita di Pi nel
2013; Alfonso Cuarón con Gravity nel 2014 e ROMA nel 2019; Alejandro Gonzáles
Iñárritu con Birdman nel 2015 e Revenant – Redivivo nel 2016 e Guillermo Del Toro con
La forma dell’acqua nel 2018. A questi nomi si aggiungono le vittorie di Parasite come
miglior film e Bong Joon-ho come miglior regista nel 2020 e quelle di Nomadland e Chloé
Zhao per le stesse categorie nel 2021. Apparentemente, quindi, il cinema statunitense cerca
da parecchi anni fuori da sé qualcosa che al suo interno non sta trovando.
Riguardo le interpretazioni attoriali, pur senza ripetere il discorso già affrontato riguardo
Everything Everywhere All at Once, merita comunque citare Brendan Fraser il quale ha
vinto la statuetta come miglior attore protagonista per il film The Whale diretto da Darren
Aronofsky. Un premio che fino all’ultimo era in bilico tra Fraser e Austin Butler per la sua
interpretazione del “re del rock” in Elvis di Baz Luhrmann. Alla fine l’ha spuntata The
Whale, un film che meritava molto di più sia dal punto di vista delle nomination sia dal
punto di vista dei premi ma che è stato affossato da una sequela di polemiche stupide e

pretestuose uscite negli Stati Uniti poco dopo l’uscita del film e che davvero hanno fatto
del male a un titolo stupendo. Forse il fatto che The Whale abbia ottenuto due statuette su
tre nomination in un anno in cui solo tre film hanno vinto più di un Oscar può essere letto
come una conferma che il film avrebbe dovuto ricevere qualche candidatura in più – come
ad esempio quella per migliore sceneggiatura non originale.
Un’ultima parola sulla categoria “miglior film d’animazione” dove Guillermo Del Toro,
ritirando il premio per il suo Pinocchio di Guillermo del Toro, ha ribadito una verità che
purtroppo non sembra essere sempre compresa dagli addetti ai lavori. Mi riferisco al fatto
che i film d’animazione sono prima di tutto film: l’animazione infatti è un mezzo e non un
genere – e lo si è visto bene quest’anno in cui i cinque film candidati nella loro categoria
erano profondamente diversi l’uno dall’altro, per il tipo di animazione e per il tipo di storia
raccontata. Dispiace infatti che il film d’animazione resti sempre confinato nella sua
nicchia, incapace di uscire e di essere valorizzato in altre categorie, prima di tutto quella di
miglior film.

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