Ti canto una filastrocca: la filastrocca inserita nel contesto della relazione d’aiuto – di Giacomo Sfetez, psicologo e musicoterapeuta

Giro giro tondo,
casca il mondo,
casca la tera,
tutti giù per terra

Il Vocabolario della Lingua Italiana dell’Istituto Treccani definisce la filastrocca come una “canzonetta o composizione cadenzata … che viene recitata dai bambini nei loro giochi, o anche dagli adulti per divertire, quietare, addormentare i bambini stessi”. Solitamente la narrazione della filastrocca avviene per mezzo della voce, unendo a questa la componente gestuale.

Nonostante le difficoltà incontrate dagli esperti nel raccogliere delle testimonianze e nel fornire una definizione univocamente accettata di questa tradizionale forma di canzonetta, sembra possibile rilevare la presenza delle filastrocche in tutte le culture conosciute evidenziando, all’interno del panorama europeo, alcune somiglianze tra testi di aree geografiche diversi aspetto, questo, che avvalorerebbe la tesi secondo cui tali forme di cultura popolare avrebbero seguito i flussi migratori dei popoli europei nei loro movimenti. Divenuto parte integrante del retaggio folklorico , il corpus delle filastrocche e delle canzonette popolari è stato inglobato nel più ampio bagaglio di tradizioni, usi e costumi di un popolo, consentendo, nelle occasioni di interazione infantile, la trasmissione di elementi tradizionali educativi e sociali. Lo stesso termine tradizione, infatti, veicola il significato di “trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze” (www.treccani.it).

Riporto una testimonianza personale, nata da un’esperienza di tirocinio professionale presso l’Associazione ARIS Aps di Trieste e messa in pratica poi in una casa di riposo del territorio. Presa coscienza, grazie anche alle testimonianze degli ospiti della struttura, di come filastrocche, conte e tiritere siano parte integrante del corpus di tradizioni e conoscenze popolari, ho pensato di proporre un laboratorio ri-creativo ispirato ai principi della pratica musicoterapica svolta nelle case di riposo. Inizialmente, la mia intenzione era di offrire agli ospiti un’occasione per dare spazio all’esercizio di abilità linguistiche e lessicali sfruttando le potenzialità ritmiche che il testo delle filastrocche appunto presenta (ovviamente il progetto si sarebbe avvalso anche delle abilità mnestiche soggettive in quanto il materiale era presentato tutto a memoria). In un secondo momento ho accostato alla componente vocale, anche le percussioni corporee e alcuni altri strumenti appositamente selezionati per l’occasione, promuovendo un processo di strumentazione dei testi, traendo spunto da quanto emergeva di volta in volta nel corso dell’incontro con gli ospiti. Nel proseguo del progetto mi sono poi reso conto di come, oltre ad un esercizio di stimolazione cognitiva, quanto stava andandosi a delineare era un intervento in grado di favorire il contatto tra le persone, la riattivazione e la condivisione di ricordi del passato.

Grazie anche al materiale raccolto, mi accorsi di come le filastrocche possono appartenere ad almeno tre periodi della vita degli ospiti con i quali mi trovavo ad interagire: l’infanzia, la genitorialità con l’arrivo di un figlio/a e l’età matura. Durante l’infanzia, conte e tiritere trovano largo impiego nel rapporto con i genitori (in particolare con la mamma o i nonni) e poi, successivamente, nell’incontro con i propri coetanei durante i giochi. Queste stesse filastrocche poi, compresi in esse tutte gli aspetti culturali e educativi, andavano a riproporsi successivamente nel rapporto con i propri figli una volta adulti, nelle vesti di genitori. Infine, gli stessi testi potevano essere ritrovati nei racconti volti ai nipoti, una volta divenuti nonni.

Lascio dunque al lettore la possibilità di immaginare la quantità di ricordi, dinamiche e contenuti che potevano emergere entro un contesto relazionale come quello appena descritto potendo trarre ispirazione da periodi della vita così diversi eppure accomunati da alcuni elementi come, nel nostro caso, le filastrocche. Questo mi ha permesso di incontrare gli ospiti, le persone con le quali mi trovavo ad interagire, nei diversi periodi della vita. Ecco che, una filastrocca, una conta, una tiritera possono essere intese, certamente, quale valido esercizio lessicale, un utile esercizio mnemonico e attentivo come anche un agevole espediente motorio ma rappresentano prima di tutto un mezzo attraverso cui stringere un rapporto con una persona e, utilizzando in modo accorto gli strumenti propri della psicologia e della relazione d’aiuto, una possibilità per sondare i ricordi soggettivi e l’universo delle componenti emozionali ad esso legati, promuovendo, quando possibile, un lavoro su questi nella direzione di ricordi felici o, qualora necessario, un’elaborazione di quelli conflittuali, il tutto con il fine di favorire un benessere emotivo soggettivo.

Vista la direzione intrapresa dalla nostra società, complice anche delle nuove tecnologie e delle identità virtuali assunte dai bambini in sempre più tenere età, non posso non trovarmi preoccupato quando penso alla sopravvivenza di questa folkloristica forma di cultura nelle generazioni future, il cui mezzo di trasmissione privilegiato rimane ancora legato alle dinamiche della relazione intersoggettiva in contesti familiari, educativi e di gioco. Quanto posso augurarmi è che si possano avviare percorsi che, partendo dall’educazione musicale e al movimento, possano favorire l’inclusione delle filastrocche nei progetti rivolti bambini, bambini e genitori e nonni e nipoti in quanto, non dimentichiamolo, in passato sono stati mezzo attraverso cui preparare le nuove generazioni alla vita nella società.

 

MEMORIA E AFFETTIVITA’

nota di Mauro Cauzer, psicoterapeuta

Hermann Ebbinghaus (1885) fu il primo studioso a tentare di spiegare quali fossero i meccanismi della memoria e le cause della ritenzione o della dimenticanza dei ricordi. In seguito gli psicologi hanno effettuato ricerche sulla funzione della memoria e hanno notato che l’azione del ricordare coinvolge circuiti specifici del cervello che influiscono su particolari zone neurologiche, In particolare Panksepp considera la memoria un meccanismo legato all’apprendimento in cui è centrale il concetto di «consolidamento», che è il nome che viene dato ai complessi processi cerebrali che «trasformano le esperienze fugaci in ricordi a breve termine, prima, e in ricordi a lungo termine, poi, dopo che quelle esperienze si sono ripetute alcune volte», ma questo autore mette in discussione il fatto che memoria e apprendimento siano considerati dei processi intenzionali in quanto la maggior parte dell’apprendimento nell’uomo avviene quando sono coinvolti dei forti sentimenti e non per l’intervento della intenzionalità. . L’apprendimento emotivo è quello che «coinvolge l’acquisizione di una risposta emotiva a un’esperienza che in precedenza era neutrale», mentre la memoria emotiva è «la conservazione di tali risposte nel tempo».

Le neuroscienze hanno confermato che esiste un nesso fondamentalmente biologico che sta alla base del meccanismo di connessione tra emozione da una parte e conservazione e recupero dei ricordi dall’altra.

Questo avviene perché il nostro cervello predilige e conserva in modo più efficace ricordi “emozionalmente” pregni e significativi per cui la valenza emozionale delle esperienze che viviamo quotidianamente viene registrata dalla amigdala e passata all’ippocampo che conserva il ricordo.

I ricordi emotivi possono essere pensati alla stregua di un diario interiore che registra il nostro sviluppo nel corso della vita e genera la nostra identità.

Allora la rievocazione delle filastrocche così cariche di ricordi affettivi se situata in un situazione relazionale positiva avrà il potere di smuovere la memoria a lungo termine
anche in persone con deterioramento cognitivo. Il buon funzionamento deriva dalla condivisione emotiva con il terapeuta che aiuta l’espressione affettiva della persona e gli ridà il piacere di funzionare perché le parole riprendono un senso soltanto nella misura in cui sono legate a un affetto che così ha il valore di una matrice del pensare. La vita mentale rudimentale della persona deteriorata caratterizzata in questo modo dalla creazione di questa connessione diventa una nuova produzione del pensare. L’insieme del risveglio affettivo rianima un’organizzazione latente,stimola la rinascita di un pensiero, un ritorno del significato che trova le sue radici nella memoria affettiva

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