VIVERE LA VECCHIAIA NELLA SUA INTEREZZA – del dott. Stefano Serenthà, medico specialista in geriatria e formatore

1. VECCHIAIA, L’ETA’ DEL TRAMONTO

Perchè girarci intorno?

Perchè parlare non di vecchiaia ma di terza età, anzianità, età geriatrica, longevità, senescenza, anni verdi (o azzurri)…?

Non possiamo dire semplicemente, con rispetto, che un vecchio è… vecchio?

Sul far della sera, di fronte a uno splendido tramonto, non ci verrebbe mai da parlare di terza parte del giorno, ora rubiconda

Nulla è più poetico di un tramonto. Così com’è, senza maschere. Lo aspettiamo per le fotografie, per un momento romantico, per uno spazio di contemplazione.

Il tramonto lo viviamo come tale, senza fingere che sia mezzogiorno e senza deprimerci come se il buio fosse totale. Dovremmo imparare a vivere così anche il tramonto della vita, la vecchiaia, per quello che è, senza bisogno di modelli giovanilistici (il finto mezzogiorno) né la rassegnazione di chi si sente ormai impotente (il buio totale).

Certo, per godere davvero del tramonto ci vuole un orizzonte: mare, montagna, lago… Posso vivere bene la vecchiaia se ho ancora orizzonti ampi, se non mi rinchiudo nel mio guscio (la mia casa, le mie preoccupazioni quotidiane), se ho una prospettiva. Quali finestre posso aprire (o almeno rendere più trasparenti) per tornare a vedere l’orizzonte?

2. INVECCHIARE: GRAZIA O DISGRAZIA?

In buona parte del mondo la vita media (il numero di anni che il 50% di una data popolazione riesce a raggiungere) è in aumento.

Sino all’inizio del secolo scorso si moriva in media intorno ai 40 anni, con lentissime variazioni nel corso dei secoli.

Negli ultimi 100 anni in Italia la via media è pressochè raddoppiata, provocando, anche per la ridotta natalità, un cambiamento nella struttura della popolazione: se un secolo fa c’erano molti bambini e pochi anziani, oggi si sta creando una situazione inversa. Così, ogni volta che sentiamo parlare di invecchiamento della popolazione ci assale l’ansia: “Chi pagherà le pensioni a tutti questi vecchi? Come potrà reggere il sistema sanitario? Chi si prenderà cura degli anziani non autosufficienti?”

Certo, è urgente e indispensabile porsi il problema di rivedere l’organizzazione di molti settori sociali, previdenziali e sanitari non più adeguati, però l’aumento della vita media, e quindi del numero di anziani, non può essere visto solo come un problema.

Potremmo reimparare a leggere la vecchiaia alla luce non solo degli studi demografici, ma delle singole persone. L’aumento della vita media ha fatto sì che la mia mamma sia ancora viva e che io stesso e i miei cari abbiamo più probabilità di esserci ancora fra qualche anno.

Potremmo parlare meno di “anziani” come categoria e guardare le persone.

Potremmo tornare a dirci che l’invecchiamento e’ un fenomeno biologico universale: tutto ciò che è vivo invecchia. Domani saremo tutti più vecchi di oggi. Non è una tragedia (quanti lo vivono con terrore!), ma la cosa più bella e naturale che ci possiamo augurare!

La vecchiaia è una tappa (bella) della vita, come il tramonto è una parte (bella) del giorno. Non c’è nulla nascondere o di cui vergognarsi.

E’ vero, gli anziani hanno molti limiti, ma essere più fragili e non avere la forza e la resistenza di un trentenne non comporta una diminuzione del proprio valore, come per i bambini.

Ecco una grande sfida del nostro tempo: ridare dignità e bellezza ai capelli bianchi, alle rughe, alla vecchiaia in tutte le sue manifestazioni, difficoltà e ricchezze. Non solo alla vecchiaia “dinamica” del volontariato, di chi riesce ad essere attivo come quando aveva vent’anni di meno…

Aiutiamoci a vivere la nostra età, senza anticipare il futuro nè congelare il passato. La nostra vita è un adattarci a ciò che viviamo: se fa freddo, ci copriamo, non fingiamo di essere in estate perchè ci piace di più! Impariamo a godere e vivere in pienezza tutta la vita, non solo i primi due terzi!

3. INVECCHIARE OGGI NON E’ PIU’ COME UNA VOLTA

A causa dei grandi cambiamenti demografici, essere vecchi oggi è un’esperienza del tutto nuova.

Gli anziani sono completamente diversi da quelli di poche decine di anni fa e, per la prima volta nella storia, non possono prendere come modello chi li ha preceduti: oggi si diventa vecchi più tardi, in modo diverso e per un tempo più lungo.

Potremmo identificare tre grandi cambiamenti.

Innanzitutto, invecchiare non è più una rarità.

Oggi invecchiano non solo i più ricchi, più sani o più saggi, ma quasi tutti hanno la possibilità di raggiungere l’età anziana. Si sono persi i privilegi, gli sguardi ammirati, la fierezza di quello che si è e spesso un anziano è visto (e si vede lui stesso) come un peso, non solo nei confronti della società, ma spesso anche nei confronti dei propri figli.

In secondo luogo, è cambiato il modo di vivere.

Le famiglie sono costituite da più generazioni di poche persone e non ci sono più tanti figli e nipoti con cui condividere il carico dell’assistenza al genitore o al nonno anziano.

Un tempo si viveva insieme nelle cascine e non si poneva il problema dell’assistenza e della sorveglianza. Ora spesso è l’anziano stesso che rifiuta di andare a vivere con i figli.

Oggi le donne lavorano anche fuori casa, un tempo si dedicavano di più alla cura degli anziani.

E’ un mondo più indifferente? No, è un mondo diverso, in cui tanti sani cambiamenti sociali hanno creato un contesto diverso.

In terzo luogo l’evoluzione del sapere è diventata rapidissima.

Grazie anche alle nuove tecnologie il sapere si rinnova velocemente e quello che si è imparato va rapidamente rimesso in discussione e aggiornato, riducendo il valore dell’esperienza, della conoscenza delle situazioni, della memoria. Il lavoratore anziano non è più ritenuto “esperto” ma è diventato il lavoratore “obsoleto” e poco aggiornato. Il vecchio è visto come quello che fa fatica a capire le novità, non come chi, dall’alto della sua esperienza, poteva giudicare meglio di altri.

Tutti questi e molti altri cambiamenti fanno sì che chi arriva alla vecchiaia si trovi, per la prima volta nella storia dell’umanità, a doversi inventare senza potersi rifare ai modelli di chi lo ha preceduto. Come “esploratori” di fronte a un mondo nuovo.

4. CAMMINI VERSO UNA VECCHIAIA SERENA

Riprendo alcuni percorsi suggeriti anni fa da Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose. Cinque strade per prepararsi alla vecchiaia, la nostra e quella delle persone che ci stanno a cuore. Perchè a invecchiare si impara.

1- La capacità di vita interiore.

Quando le capacità fisiche, psicologiche e cognitive si modificano, chi è abituato ad una attenzione alla propria vita interiore (potremmo dire spirituale, senza necessariamente riferirci alla religione) riesce meglio ad accettarle e trasfigurarle. Chi nel corso della vita ha imparato ad abitare il silenzio invecchia meglio, riesce con più facilità a elaborare la propria vita, a fare sintesi, a guardare in profondità. Riesce a vivere ancora il qui ed ora, senza rimpiangere il passato, lamentarsi del presente o alienarsi nel giovanilismo.

2- L’accettazione di se stessi.

Allenarsi a riconoscere e accogliere le nostre debolezze, i nostri dubbi, le nostre paure ci evita quella specie di schizofrenia che imprigiona chi a tutti i costi vuole mostrarsi migliore di quello che è.

Chi si è esercitato alla gratitudine per i doni ricevuti senza la presunzione di essere sempre il migliore troverà anche nella vecchiaia spazi di serena realizzazione anche di fronte alle perdite.

3- Lo sguardo distaccato.

Guardare al proprio passato con sguardo benevolo è una chiave per una vecchiaia serena e non avvelenata da rimpianti, rimorsi o rivendicazioni.

Se da giovani ci concentriamo di più sul particolare, è giusto anche allenare quello sguardo distaccato che aiuta a vedere l’insieme, ad apprezzare e giustificare le situazioni e le persone. Negli occhi del giovane arde la fiamma; negli occhi del vecchio brilla la luce”, scriveva Victor Hugo.

Allenarsi a rileggere la propria vita con questo sguardo presbite ci rende capaci di gratitudine anche nelle situazioni difficili.

4- Accettare l’incompiuto.

L’incapacità di accettare di lasciare qualcosa incompiuto può rendere angosciante la vecchiaia di chi è abituato a ottenere risultati o ha avuto ruoli importanti. Si attaccherà a un progetto, alla crescita di un nipote, ai beni posseduti, alle abitudini di lavoro o alle relazioni familiari e amicali convinto di essere indispensabile.

Possiamo educarci al distacco dalle cose, dalle persone, dalle situazioni, accettando ogni sera di coricarci senza avere concluso tutto, accettando le partenze delle persone care, le scelte dei figli diverse dalle nostre…

E’ bello cercare di lasciare le cose in ordine, di portare a compimento quello che possiamo, ma non possiamo invecchiare bene se non alleniamo la consapevolezza che tante cose le lasceremo incompiute.

5- Esercitarsi all’eternità.

Che cosa voglio che si ricordi di me?

Forse tanti obiettivi che ci diamo non sono così fondamentali e trascuriamo aspetti invece più importanti. Quante ore, quante energie dedichiamo a ciò che riteniamo realmente importante che rimarrà di noi anche quando non ci saremo più?

Tra le pieghe della nostra vita possiamo esercitarci a valorizzare le pepite di eternità. In fondo, tutto quello che resta è che abbiamo amato e siamo stati amati e questo puó dare il giusto senso alla vita, ai beni materiali, alle relazioni da subito e renderci piú sereno il distacco quando sarà il momento.

5. FINE O COMPIMENTO?

Perchè è così diffusa l’idea della vecchiaia come periodo da evitare, il desiderio di cercare di fermare il tempo prima del tramonto?

Potrebbe aiutarci a parlare della vecchiaia non come termine, ma come compimento, come raggiungimento della pienezza. Come l’ultimo capitolo di un libro (chi vorrebbe fermarsi e saltare il capitolo che fa capire tutto?), come l’Inno alla Gioia che chiude la Nona Sinfonia (aspetto con trepidazione che arrivi il coro finale invece di ascoltare in continuazione il terzo movimento), come gli ultimi minuti di un film, come i calci di rigore di una finale…

Come un tramonto, appunto: ci fermiamo in spiaggia proprio per quella foto con il sole che si spegne dentro al mare. Non andiamo via poco prima convinti che non ci sia nient’altro da vedere…

Guardare al compimento vuol dire poter godere sino in fondo. Significa aspettare proprio questo momento. E se ce lo godiamo davvero, come per un concerto, un film, uno spettacolo, quando finisce scoppia l’applauso.

Così sarebbe bello invecchiare.

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